Omelia (20-11-2011)
mons. Gianfranco Poma
Venite, benedetti del Padre mio

VENITE, BENEDETTI DEL PADRE MIO

Con la solennità di "Nostro Signore Gesù Cristo, re dell'universo" concludiamo l'anno liturgico nel quale abbiamo letto il Vangelo di Matteo, meditando la grande pagina del "giudizio finale" (Matt. 25,31-46). Questa, non ha paralleli negli altri Vangeli, si trova solo in Matteo ed appartiene quindi alla visione teologica di questo Vangelo: la sua collocazione, è l'ultimo brano prima dell'inizio del racconto della Passione, ci invita ad interpretarla come la sintesi ricca e complessa del messaggio evangelico e il punto di arrivo del cammino pedagogico del discepolo di Gesù.
Si tratta certamente di una pagina importante, difficile e molto discussa: la vastità della bibliografia che la riguarda testimonia la sua complessità e ci mette in guardia da una interpretazione semplicistica, pure molto attuale nella Chiesa ed importante per il cristianesimo di oggi, ma che la riduce ad essere la fondazione del "cristianesimo anonimo" o di un cristianesimo senza Cristo, ridotto all'impegno a favore di qualsiasi genere di povertà.
Al termine dell'anno liturgico, siamo invitati a confrontarci con questa pagina evangelica, a lasciare che la Parola di Gesù provochi in noi un giudizio, cambi la nostra vita e ci introduca più profondamente nella gioia di una vita realizzata.
Con un linguaggio narrativo ( non si tratta propriamente di una parabola), Matteo descrivendo il "giudizio finale", dice il senso teologico della storia, il "fine" a cui tende, che in qualche modo si realizza in ogni momento. "Quando il Figlio dell'uomo verrà, nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre.Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio. Ricevete in eredità il regno, preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare.".
Va sottolineata l'importanza e la ricchezza di questo inizio che orienta la interpretazione corretta del significato di tutto il brano. Sono tre i titoli attribuiti al Messia che presiede al Giudizio: Figlio dell'uomo, pastore, re. Si tratta di tre titoli dal forte significato biblico, messi in stretta relazione tra loro: il Figlio dell'uomo, seduto sul trono della sua gloria.è Colui che prima è disceso nel più profondo della umiliazione e della fragilità umana; il pastore, come appare dalla splendida pagina di Ezechiele che leggiamo nella prima lettura della festa odierna (Ez.34,11-17), è Colui che difende le pecore da tutti i pericoli, si prende cura di loro, perché le conosce, perché le ama; il re è ben diverso da tutti coloro che vogliono semplicemente dominare, è libero da ogni ostentazione di grandezza umana, non opera secondo criteri di politica ambiziosa: la sua forza è solo l'amore, la compassione, la condivisione. Colui che condivide in pieno la fragilità umana, guida e protegge i suoi fratelli e realizza così il regno, la cui forza è l'amore. Tutto ha inizio da Colui che ha accettato di discendere nello oscurità umana, di sedersi a mensa con i peccatori e le peccatrici, di umiliarsi sino alla morte della croce, di gridare: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato", di farsi ultimo, di amare sino al dono estremo di sé. Tutto ha inizio dal Figlio che riceve tutto dal Padre per donare tutto e ricondurre tutto a Lui. "Venite, benedetti del Padre mio": non si può comprendere lo scandaloso messianismo di Gesù, senza percorrere con Lui tutto il cammino della discesa nella oscurità umana, vivendo con Lui l'esperienza del Figlio che si incarna perché la carne risplenda di gloria. Non si può comprendere Gesù (eppure tante volte lo facciamo, riducendo il Vangelo ad una etica), non si può comprendere la novità cristiana che è la pienezza dell'uomo, dimenticando che Gesù è il Figlio che vive del Padre.
"Ricevete in eredità il regno, preparato per voi dalla creazione del mondo". Il senso finale della storia, di ogni uomo, è la realizzazione del progetto iniziale del Padre: fine e inizio si congiungono. Alla radice di tutto ciò che esiste c'è il desiderio del Padre, di fare del mondo un regno di fraternità, di giustizia, di amore, di pace: alla fine il desiderio è realizzato. E tutto avviene per l'amore del Padre che attraverso la discesa nella carne del Figlio, riempie tutto ciò che è fragile del suo amore e lo riporta a sé. Il mondo, la storia, l'uomo, tutto apparirebbe assurdo, abbandonato al fallimento se non ci fosse la Croce di Cristo, estremo assurdo riempito dalla follia dell'Amore del Figlio che ci apre ad una comprensione nuova della realtà. Tutto ciò che ci appariva senza senso adesso sappiamo che è un atto di amore del Padre: l'incarnazione del Figlio ce lo ha manifestato; la sua missione consiste nel riempire di amore ("portare a compimento") tutto ciò che ci appare assurdo e senza senso. Il Vangelo di Giovanni in particolare è il commento migliore a tutto questo. Proprio Giovanni è preoccupato di farci comprendere che la fonte di tutto è il Padre: è Lui che crea, è Lui che porta a compimento la sua opera con l'incarnazione del Figlio. L'Amore con il quale il Figlio ama il mondo è ancora l'Amore del Padre. Non potremmo capire la narrazione dell'Amore che è la vita di Gesù, se non vivessimo con Lui l'esperienza di figli del Padre che, in modo misterioso, ci ama infinitamente: è proprio questo il motivo per il quale l'esperienza cristiana non è riducibile all'assistenza umana. "Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare.Signore, quando ti abbiamo visto affamato.Tutto quanto avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me": in questo diventa concreta la novità del messaggio evangelico. Nel rapporto tra l'uomo e l'uomo si gioca il rapporto dell'uomo con il Figlio dell'uomo, il pastore, il re, si gioca l'ingresso nel regno preparato dal Padre: nella relazione tra gli uomini si fa concreta l'esperienza dell'Amore del Padre che il Figlio è venuto a mostrare. Il Figlio vive nella carne dell'uomo, fino alla Croce, la relazione filiale con il Padre; con gli altri uomini, resi fratelli, condivide nella fragilità della carne, la relazione filiale con Dio; si identifica con i più deboli, i più piccoli, persino i più peccatori perché questo è l'Amore infinito del Padre che vuol portare tutto a sé.
Alla fine dell'anno liturgico, la Parola di Cristo scende nel nostro intimo più profondo e ci giudica: ci siamo lasciati afferrare da Lui, amare e trasformare dall'Amore che il Padre ha dato a Lui perché facesse nuova la nostra vita, nei momenti nei quali tutto ci sembrava assurdo, oscuro, privo di senso? Ci siamo lasciati amare, sostenere, perdonare da chi era in quei momenti strumento dell'Amore del Padre? Abbiamo imparato ad amare il povero, debole, piccolo, soprattutto quando era rivestito di una maschera che lo faceva apparire come grande, perché anche in lui era nascosto il Figlio di Dio, diventato povero per condividere fino in fondo la fragilità umana? Abbiamo imparato "un po' di più" a gustare comunque la vita, dono del Padre? Abbiamo reso più piacevole la vita ai nostri fratelli, perché questo, alla fine è il Regno dei cieli.