Omelia (20-11-2011)
mons. Roberto Brunelli
Davanti a lui saranno radunati tutti i popoli

"Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna (...) Così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri": sono le due frasi con cui si apre e si chiude la prima lettura di oggi (Ezechiele 34,11-17). Nell'Antico Testamento ricorre spesso l'immagine di Dio come pastore del suo gregge, il popolo d'Israele: un pastore sollecito, che guida ai buoni pascoli, ma anche rigoroso, che vaglia chi dalla sua guida si allontana. Venuto Gesù, egli ha rivelato di essere Dio, anche riferendosi a quel simbolo: "Io sono il buon Pastore", tanto buono da dare la vita per il suo gregge. E, come il divino Pastore delineato dall'antico profeta, neppure Gesù resta indifferente rispetto a chi si allontana da lui. Anch'egli vaglia e giudica; non obbliga nessuno a seguirlo: prende atto che c'è chi lo segue, e rimane con lui nei buoni pascoli, e c'è chi si rifiuta di farlo, andandosene dove gli pare, pur se avvisato che lontano da lui troverà solo deserto.
Il giudizio avviene, si sa, singolarmente, al passaggio di ciascuno da questa all'altra vita. Il vangelo di oggi (Matteo 25,31-46) lo riassume, per così dire, in un unico momento collettivo: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo". La scena è grandiosa: il Figlio dell'uomo (così lo stesso Gesù designava se stesso) è il re, assiso sul trono glorioso, e ha davanti a sé l'incalcolabile numero degli uomini transitati per questo mondo, vagliati ad uno ad uno per decidere quali meritino il passaporto per il regno preparato per loro.
Chi lo meriti, è detto subito dopo: "Venite... perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Contrapposti, gli altri, quelli alla sua sinistra, ai quali dirà: "Via, lontano da me... perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere" eccetera: "Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me".
Queste parole trovano conferma in quelle rivolte anni dopo a un fanatico sulla via di Damasco: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" Saulo, poi divenuto l'apostolo Paolo, andava a caccia di cristiani da incarcerare; non cercava Gesù, ma egli gli annunciò di considerare fatto a sé quello che si faceva ai suoi amici. In negativo, ma anche in positivo, come manifestano le parole del vangelo, che elencano esempi di quanto si può fare per i "fratelli più piccoli", vale a dire per chi è in necessità. Quelli elencati sono soltanto esempi: il bene possibile presenta una casistica infinita, determinata di volta in volta dalle necessità di chi si incontra e dalle possibilità di alleviarle. In sintesi, quello che conta - e su cui saremo giudicati - è l'amore, sull'esempio del divino Maestro che per amore è giunto a dare la vita.
La festa di oggi, con cui si conclude l'anno liturgico, invita a guardare al futuro, per contemplare la scena grandiosa del Re in tutta la sua gloria, con l'intera umanità davanti a lui, convocata a manifestare chi avrà dimostrato di aver voluto essergli amico, amando quelli che egli ama. Guardare al futuro, per regolarsi adesso in modo da trovarsi, quando sarà il momento, dalla parte giusta.