Omelia (02-10-2011)
don Roberto Rossi
Noi siamo la vigna coltivata da Dio

Secondo i testi biblici della liturgia, potremmo chiamare questa: la domenica della vigna. Nella prima lettura abbiamo il cantico dell'amore del Signore per la sua vigna, cioè il suo popolo e ciascuno dei suoi figli; nel vangelo ci è riportata la parabola dei vignaioli ingrati, accaparratori e violenti, che dopo aver ucciso i servi del padrone (i profeti), uccidono persino il Figlio.
Ma quel Figlio, morto sulla croce, "pietra scartata dai costruttori" diventa "testata d'angolo", il fondamento di tutto. Che altro poteva fare il Signore? Dio ha amato fino al segno estremo: Dio ha tanto amato il mondo da mandare Suo Figlio che verrà consegnato alla morte di croce. Gesù, sulla croce, come dice S. Paolo, "mi ha amato e ha dato tutto se stesso per me". Questa è l'opera mirabile del Signore. La risurrezione di Cristo diventa il fondamento e l'inizio di ogni vita nuova. E' la rivincita, la vittoria dell'amore. Ma "il regno di Dio sarà tolto a quelli che lo hanno rifiutato e sarà dato ad un altro popolo che lo farà fruttificare.
La parabola ha sempre un significato storico, reale per quanto Gesù racconta e per quanto si riferisce all'antico popolo di Dio, rappresentato dai prìncipi dei sacerdoti e dagli anziani; e ha un significato di attualità per noi, per la nostra vita nel nostro rapporto con il Signore.
La parola di Dio ci aiuta a contemplare l'amore infinito di Dio verso il suo popolo e verso ciascuno. E' un inno sulla "vigna", è il canto di un Dio innamorato dell'umanità. "Canterò per il mio diletto il mio cantico d'amore per la sua vigna". Il Signore possiede questa vigna, la vanga, la sgombra dai sassi, vi pianta viti scelte. La circonda di tutte le cure. Dio ha fatto di tutto, ha fatto l'impossibile. "Aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica".
Ecco allora il lamento, il dolore, la sofferenza di chi ha tanto amato e si trova non corrisposto, e, secondo il vangelo, viene addirittura ucciso da chi è stato amato di amore di predilezione.
"Che cosa dovevo fare di più, che non ho fatto?" Non avremmo mai voluto sentire questo che è il lamento di Dio. Eppure esprime tutta l'intensità dell'amore di Dio e tutta la tragedia del peccato dell'uomo.
Un giorno, in una rivelazione a S. Margherita Gesù dirà: "Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e che non riceve che ingratitudini e oltraggi".
Ci è richiesta oggi una forte revisione di vita. Sappiamo contemplare e percepire tutto quello che il Signore ha fatto e fa per ciascuno di noi, per la Chiesa, per l'umanità, per l'universo intero? "La sua bontà è grande come il cielo", possiamo dire anche noi con il salmo. Avvertiamo veramente, concretamente la paternità di Dio sulla nostra vita?
Ci accorgiamo di essere amati, desiderati, voluti dal Padre o Lui è per noi una figura lontana? Siamo figli grati, riconoscenti, pieni di amore?
Siamo figli che non vivono per se stessi, ma per il Padre e si preoccupano di portare frutti per dare gioia a Lui?
Riusciamo a far fruttare i talenti di Dio, i doni del suo amore? Quanta incorrispondenza c'è nella nostra vita e nella comunità cristiana? Quanto peccato c'è in noi e nell'umanità?
Dalla presa di coscienza della nostra debolezza e incorrispondenza sorge il pentimento e deve nascere forte il bisogno e l'impegno di essere "vigna buona", di fare frutti buoni.
Come sarà possibile? Dice Gesù: "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto". Se rimango unito a Cristo, "tutto posso in Colui che mi dà forza". Come portare frutto? Quali frutti?
Ci aiuta l'apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi: " Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, tutto quello che è virtù e merita lode, tutto questo sa oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto (nella parola di Dio e nei suoi testimoni), è quello che dovete fare".