Omelia (11-09-2011)
don Alberto Brignoli
Che strano 11 settembre?

Il perdono non è un'invenzione del cristianesimo, e la domanda che Pietro rivolge al Maestro nel brano di Vangelo di quest'oggi ce lo rivela. Il dialogo tra Pietro e Gesù segue immediatamente l'insegnamento che abbiamo ascoltato la scorsa domenica, quello sulla correzione fraterna, dove l'invito di Gesù era che a ogni uomo, per quanto grande avesse potuto essere lo sbaglio da lui commesso, fosse concessa in ogni momento la possibilità di ravvedersi, grazie anche a una comunità accogliente disposta a fare di tutto pur di reintegrarlo nella società. Pietro pare seguire con attenzione il discorso di Gesù, e rimane colpito da quest'aspetto della pazienza da usarsi nei confronti di chi sbaglia: prima va esortato personalmente, poi insieme con altre persone che possano aiutarlo a ravvedersi, poi con l'aiuto della comunità.
Pietro deve aver senz'altro pensato a un processo lento e paziente, e quindi vuole tastare personalmente le idee del Maestro riguardo alla concessione del perdono da parte della vittima nei confronti del suo "aggressore": fino a quando è bene ed è giusto perdonare? Dicevo che il perdono non è un'invenzione cristiana: la cultura giudaica nella quale Gesù stesso, come del resto Pietro, si è formato, prevedeva che ogni scuola rabbinica avesse le sue regole e le sue norme, anche in materia di perdono. Era una visione legalista, formale, quasi "quantificata" del perdono. La maggior parte delle scuole rabbiniche invitava i propri allievi a perdonare almeno tre volte, sull'esempio di Dio che perdona tre volte ogni uomo. Pietro sa che il tema del perdono e dell'attenzione nei confronti dei peccatori è un tema caro al suo Maestro, e allora presenta a Gesù una specie di "tabella", di "tariffario", nel quale gli propone che i suoi discepoli possano fare meglio degli altri, diciamo il doppio, e anche qualcosa di più: un perdono accordato sette volte, un numero simbolico quanto realisticamente poco realizzabile.
Siamo sinceri: chi di noi riuscirebbe a perdonare per sette volte un'offesa o uno sgarbo ricevuto dalla stessa persona? Una, due volte al massimo...la terza diventa già una punizione da infliggere, come ci insegnava la filastrocca imparata dalla maestra a scuola, che suonava come una minaccia quando di comportarsi bene in classe nemmeno la minima intenzione: "La prima si perdona, la seconda si condona, la terza si bastona!". Applichiamola alle concrete situazioni della vita, e ci pare già di per se improponibile. Quale moglie perdonerebbe un'infedeltà al proprio marito per tre volte? Quale insegnante permetterebbe a un alunno tre volte lo stesso errore nello svolgimento di un compito? Che datore di lavoro lascerebbe correre tre mancanze ingiustificate di un proprio dipendente? E da qui a sette volte...ne corre!
Pietro sa bene di aver esagerato perché sa che il Maestro ha un concetto esagerato del perdono. Forse però non se lo aspettava così esagerato da sentirsi rispondere "settanta volte sette": o si tratta di una presa in giro oppure l'espressione è volutamente iperbolica per indicare che il perdono non è per niente questione di calcoli o di conteggi. È un atteggiamento mentale, una disposizione del cuore che nasce dalla percezione di aver ricevuto da sempre da Dio un perdono incommensurabilmente più grande delle nostre reiterate mancanze, e che proprio per questo porta a dimenticare le offese ricevute e a creare una mentalità di riconciliazione basata sulla non violenza, sulla non vendetta, sul non desiderare agli altri il male che essi hanno fatto a noi.
Con il perdono, se vissuto in quest'ottica di "per-dono", di dono ricevuto più volte da Dio, non si possono fare calcoli: saremo sempre in debito nei confronti di Dio, per cui è inutile e pure ingiusto andare a riscuotere dagli altri il dovuto per delle offese da essi ricevute. Con che coraggio un debitore di 10.000 talenti d'oro (35 tonnellate di metallo prezioso) va a chiedere che gli siano restituiti da un suo pari 100 denari (400 grammi circa di oro)? Con che coraggio lo fa strisciare ai suoi piedi, si disinteressa totalmente della sua richiesta di ulteriore tempo, e lo fa sbattere in carcere per un'insolvenza di 10.000 euro, quando a lui è stato applicato un condono fiscale di oltre 1 miliardo di euro?
Questo dovrebbe aiutarci a capire cos'è il perdono cristiano. Il perdono che Gesù Cristo propone ai suoi discepoli non è basato sul concetto di giusta retribuzione e di un calcolo a essa conseguente, perché Dio, nei nostri confronti, giusto non lo è affatto: non lo è mai stato e non lo sarà mai (lo vedremo anche domenica prossima), perché per nostra grazia "non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe" (come ci ricorda il salmo responsoriale). Allora, visto che il Dio di Gesù Cristo non è giusto, ma è clemente e misericordioso, le relazioni umane dei credenti in Cristo non possono avere come legge né il taglione (occhio per occhio) né la retribuzione (pagare per ciò che si ha fatto), che fondamentalmente sono leggi basate sul concetto di vendetta ("do a te ciò che tu hai dato a me", nel bene e nel male): le relazioni create dai cristiani devono essere basate esclusivamente sul perdono, che trova il suo fondamento nell'Alleanza, nel rapporto stretto tra Dio e l'uomo, come ci ricorda già Siracide nella prima lettura, "ricordati dell'Alleanza con l'Altissimo e non far conto dell'offesa subita". Dio ama a tal punto l'uomo da perdonarlo incondizionatamente e infinitamente: e questo è il metro su cui l'uomo deve misurare le proprie relazioni con i suoi simili.
Giuridicamente parlando, è una follia, è la negazione del diritto: chiedere a chi subisce offese e violenze di dimenticare e perdonare è puramente una follia, e - ironia della sorte - lo leggiamo nel vangelo di quest'oggi, domenica 11 settembre, anniversario di quel giorno in cui morte e distruzione non evocano certo perdono e impunità. Un modo strano, per la liturgia, di ricordare quella data: parlando di perdono, di misericordia, di rabbia e rancore da eliminare perché "abominevoli"...
Vallo a capire, un Dio così, che parla di perdono invece di parlare di giustizia! Del resto, cos'ha fatto, lui, perdonando chi gli ha ammazzato il Figlio in croce e continua a farlo crocifiggendo i suoi figli sulle migliaia di croci della storia?
Lui stesso, comunque, ha messo dei paletti: perdonerà tutto, sempre, ma tralascerà di farlo con chi non fa altrettanto con i fratelli. "Chi si vendica avrà la vendetta del Signore, ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati".
Il perdono non è un'invenzione del cristianesimo, ma lo sono la folle perseveranza nel perdono e la costruzione di una società nuova basata sulla cultura dell'amore e della non violenza.
Sono passati duemila anni, ma siamo ancora solo agli inizi: la partita rimane tutta da giocare.