Omelia (22-05-2011)
don Marco Pedron
Non essere più gli stessi

Per riflettere
Il vangelo di oggi è uno stralcio di un discorso molto lungo che Gesù fa nel vangelo di Gv durante l'ultima cena. Prima di queste parole c'è la compassione più grande di Gesù, visto che lava i piedi ai suoi discepoli, e l'indifferenza massima di Giuda che vende il suo maestro per denaro.
Poi cosa succede? Accade che Giuda scappa e che i discepoli, che si stanno rendendo conto di ciò che sta per succedere, sono in preda alla paura e al terrore. Sentono che sta per succedere qualcosa di terribile, di irreparabile e si sentono persi. Pietro inizia a dirgli: "Signore, dove vai?" (13,36). Tommaso dice: "Signore non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?" (14,5). Filippo: "Mostraci il Padre e ci basta" (14,8). Sono cuori pieni di paura.
Il verbo greco tarasso=turbare indica una profonda agitazione: è la tempesta. Sono uomini che si sentono sconvolti, rimescolati, messi sotto sopra. I discepoli si sentono persi: "Gesù tu eri tutto, avevamo messo tutto in te, ci avevi appassionato il cuore... e adesso?".
Sei sposato e tua moglie ti dice: "Ti lascio, me ne vado via di casa"; ti senti perso, smarrito, è tempesta! Fai un esame: "Dobbiamo operarla urgentemente perché lei ha un cancro": ti senti perso. Ti telefonano: "Venga in ospedale, stiamo operando suo figlio, ha avuto un incidente": ti senti perso.
E' per questo che si pongono molte domande: "Che ne sarà di noi? Cosa ci accadrà? Dove andremo a finire? Finirà tutto? E tutto quello che c'è stato? Ci siamo sbagliati a credere in Gesù?".
I discepoli vorrebbero delle certezze: "Dicci la strada... dicci come fare... dacci regole chiare... dicci dove andare, cosa fare, cosa essere, e noi lo faremo... facci vedere Dio e non avremo più dubbi... (14,5.8)".
Quando sei in auto e conosci la strada, vai tranquillo. Ma se non la conosci e non hai il navigatore, allora chiedi di qua, di là, hai paura di sbagliare, di arrivare tardi. Quando perdi tutti i riferimenti, quando non hai certezze, tutto diventa pericoloso, pauroso, difficile.
In questa situazione Gesù risponde: "Non abbiate paura. Abbiate fiducia in me e in Dio" (14,1). "Vado a prepararvi un posto" (14,2).
Cosa vuol dire Gesù? E' un semplice invito a sperare o si fonda su qualcosa di solido?
Ci sono due amici che si parlano. Uno dei due ha un cancro con metastasi e l'altro gli dice: "Dai, dai, speriamo bene...". E' una cosa così, tanto per dire, consolatoria quella di Gesù o è ancorata più in profondità?
Gesù dice agli apostoli: "Voi avrete paura e crederete che sia la fine. Voi avrete sofferenza perché tutto sembrerà finire. Sembrerà ma non è così (16,31-33)". Gesù li rassicura: "Abbiate fede in me, ci rivedremo, state tranquilli. Ma volete vi lasci proprio adesso? State tranquilli, abbiate fede! Vi ho mai traditi? Vi ho mai lasciati? Chi si ama non lo si perde mai per sempre".
Gesù cioè, fonda la fiducia sul rapporto che c'è stato prima: "Ho fatto tutto questo per voi (sono perfino morto per rimanere fedele alla Vita e a voi). Se ho fatto tutto questo, potete ancora pensare che vi lasci?".
Questo è l'amore! L'amore è la fiducia certa e sperimentata. Hai percepito qualcosa di certo, di forte, di solido, e sai che puoi fidarti e lasciarti andare, anche se non capisci perché, sai che terrà.
Quand'ero bambino il nonno si calò per pulire un pozzo (non era molto fondo, 4-5 metri, ma ai bambini tutto sembra enorme). Si legò alla vita e lo calarono giù. La mia paura era: "E se la corda si rompe?". E loro mi tranquillizzavano: "Questa corda non si spezza mai". La fedeltà si base 1. sulla fiducia, 2. sull'esperienza. Ho percepito che la corda non si rompe, lo so; non si è mai rotta e non si romperà neanche adesso.
Hesed=amore fedele, in ebraico, è la roccia, dove tu puoi piantarti e sai che quella casa terrà.
Esiste qualcosa di sicuro su questa terra? No. Quando ci sposiamo ci diciamo: "Per sempre", ma è un desiderio, un impegno, non una certezza. Questo vale anche per le amicizie, per i rapporti, per i legami, per il lavoro, per le convinzioni religiose, per le scelte fatte: il "per sempre", è da costruire e non un dato già acquisito, già fatto solo perché ci siamo detti "per sempre". Su questa terra non esiste nessuna certezza eterna, perché tutto è passeggero, tutto è transitorio. Non ci è facile accettare questa verità. Tutto passa, tutto diviene e nulla rimane. Nulla, quindi è certo.
Ma proprio tutto di tutto passa? C'è una cosa che è "per sempre"? Sì, l'a-more. L'amore, la non-morte (a privativo e mors, mortis, morte) è l'unica forza in grado di valicare il limite e la separazione.
Una persona ti è morta: ma tu puoi amarla lo stesso anche se non c'è più e puoi sentire la sua presenza. Gesù Cristo è morto, ma noi lo sentiamo vivo lo stesso (perché è vivo e nell'amore possiamo sentirlo). Una persona ti ha lasciato ma tu puoi continuare ad amarla lo stesso (accettando però che se ne è andata). L'amore è l'unica forza che valica il limite, la morte, la distanza, il distacco.
Per questo Margherita di Yourcenar ha detto: "Verrà un giorno in cui tutte le leggi spariranno e rimarrà solo la legge dell'amore". Ma noi possiamo ancor più dire: "Verrà un giorno in cui tutto sparirà (ma proprio tutto) e rimarrà solo ciò che è amore", perché ciò che è amore dura oggi, domani e dopodomani; l'amore è per sempre.
Allora solo nell'amore si regge il "per sempre". Dove non c'è amore non c'è neanche il "per sempre". E' l'amore che fonda la fedeltà e non la fedeltà che fonda l'amore.
Gesù in queste parole e in tutto il Discorso d'Addio (Gv 13-17) dice: "Guardate che io vi amo. Fidatevi di questo". La forza dei discepoli si basa su due cose: l'amore di Gesù e la loro fiducia.
Una bambina di cinque anni è sopra il tavolo, allarga le braccia verso il papà e gli dice: "Se mi butto mi prendi?". "Ma certo", dice il papà. "E se non mi prendi?", continua la bambina. "Non ti preoccupare, ti prendo". "Ma siamo sicuri?". E il papà: "Fidati!".
Perché i discepoli si possono fidare di Gesù? Perché hanno visto, sentito e sperimentato il suo amore. Tutte le rassicurazioni umane non servono: "Ti amerò per sempre; non ti lascerò; ti voglio bene; io ci sarò sempre; puoi contare su di me"; sì, parole che ci aiutano. Ma l'unica cosa che ci permette di fidarci è sentire che l'altro c'è, che ci ama, che non se ne andrà.

Cos'è successo nei discepoli per cui non hanno più temuto? E ne avevano di paura durante la passione e appena dopo la morte di Gesù. Cos'è cambiato per cui dalla fuga sono passati al seguirlo?
Piano piano si forma una convinzione profonda per i discepoli: Dio sta rivelando loro il crocifisso come colmo di vita. In precedenza non avevano potuto avvertirlo così. Adesso realmente lo vedono (apparizioni).
Senza questo, lo avrebbero forse venerato per un certo tempo; poi il suo ricordo si sarebbe andato cancellando. Ma loro davvero lo sentono vivo, fuoco, passione, vita, coraggio, presenza in loro.
San Paolo ce lo racconta con l'apparizione sulla via di Damasco (At 9,1-19): l'incontro con il Risorto ha stravolto la sua vita, lo ha "riorientato". Lì tutto è simbolico: lui sul cavallo=la sua fierezza e superiorità (gli istinti, la potenza, il cavallo, messi a servizio però dell'ego); la caduta=il totale cambiamento, la durezza e la "botta" di tale caduta; la Voce=l'esperienza di aver "colto, percepito" Dio; la cecità=il non aver visto in realtà nulla prima, l'essersi illuso e l'aver dovuto avere degli occhi totalmente nuovi dopo; l'essere condotto per mano=farsi aiutare, lui che credeva di avere la verità.
Gesù non è più solo il Crocefisso che è morto, ma è Colui che è presente in lui (Buona Notizia) e che lo fa un uomo nuovo. Gesù viene compreso non più come un grande maestro che adesso è morto (così lo avevano capito in vita), ma in maniera nuova: Lui agisce tutt'ora e mi fa diverso, nuovo, altro.
La Maddalena (Gv 20,11-18): il suo Gesù non è più l'amato morto su cui piangere, da andare a trovare alla tomba su cui mettere un fiore, disperarsi o ricordare quanto l'aveva amato in vita e quanto lui per lei era stato la vita. Adesso Lui è vivo dentro di lei e le dice: "Non mi trattenere, lasciami andare". E così lei lo lascia andare (e fa il lutto) perché lo sente vivo dentro di lei, lo sente presente e da lì nessuno può più portarglielo via.
Tommaso e gli apostoli (Gv 20,19-29). Per loro Gesù non è più il maestro la cui morte ha voluto dire la fine di ogni speranza, illusione e progetto. La ferita enorme che hanno dentro (per Gesù gli Apostoli avevano lasciato tutto: casa, famiglia, lavoro, reputazione, onorabilità) non è più dolorosa ("E' tutto finito") ma gioiosa, perché hanno ritrovato Lui dentro di sé, hanno scoperto che Lui vive ancor più forte di prima dentro di loro e li sostiene e li spinge e diventa il senso della loro vita.
Perché allora non hanno più paura? San Paolo, la Maddalena e gli Apostoli, non sperano che ci sia la resurrezione, non credono perché c'è scritto nel catechismo della Chiesa Cattolica, non credono perché l'hanno letto da qualche parte, credono perché sanno, perché hanno visto, sperimentato e toccato.
Ciò che ha cambiato e stravolto la loro vita non è stato l'incontro con Gesù (il Maestro) ­ e già questo li aveva sconvolti abbastanza! ­ ma l'incontro con il Gesù Risorto. Ce l'avevano dentro di loro: il Maestro, la passione, la forza, la vita, che prima trovavano in Gesù fuori adesso ce l'avevano dentro. Gesù Risorto era in loro. Per questo andavano dappertutto dicendo: "Lui vive! Lui è risorto!". Lo dicevano semplicemente perché lo avevano sentito, sperimentato e toccato. Per questo non potevano aver paura: Lui era vivo ed era ancora e ancor di più con loro. Non avevano paura perché l'avevano incontrato. Non credevano, non speravano: ne erano certi. Loro lo avevano visto!

Nei vangeli la resurrezione non è mai un discorso ma sempre un incontro tra il Risorto e la persona. Gli apostoli partirono e andarono in tutto il mondo non su sentito dire o perché qualcuno glielo avesse comandato. Tutti gli apostoli, ­ ma questo vale per tutti quelli che nella storia hanno seguito il Signore ­ lo hanno fatto perché ad un certo momento lo hanno incontrato. E' stata un'esperienza (nei vangeli è un'apparizione) che ha cambiato la loro vita, l'ha sconvolta e che ha dato, creato, la scintilla per seguirlo dovunque la Voce portasse e chiamasse.
Richard Buckminster Fuller a 32 anni, nel 1927, è in bancarotta, la figlia Alexandra gli muore di polmonite, comincia a bere e decide di suicidarsi. Ma all'ultimo momento mentre stava per buttarsi sul lago Michigan un pensiero, un'illuminazione, gli cambia la mente: "Perché non donare la sua vita al mondo? Perché non fare della sua vita un esperimento?". E divenne un famosissimo architetto, inventore e filosofo. Visse con l'idea di fare della propria vita un dono per l'umanità. E' morto nel 1983.
E Norman Cousins? Norman Cousins ha studiato l'Effetto Placebo. Prendeva due gruppi di persone. Al primo diceva: "Questo farmaco è nuovissimo ed efficacissimo; vi darà un sollievo immediato e duraturo". Il 70% dei malati, infatti, migliorò ed ebbe sollievo. Al secondo: "Questo è un farmaco sperimentale e gli effetti sono ignoti". Il 25% dei malati, ebbe notevoli miglioramenti. Il punto è che nessuno dei 2 farmaci era un farmaco, che erano la stessa cosa: una sostanza di acqua e zucchero. E allora? La fede in quello che fai è la tua forza o la tua rovina.
Nel 1964 Norman Cousins si ammala. Diagnosi: forma grave di artrite che colpisce i tessuti connettivi. Possibilità di sopravvivere 1 su 500, subendo in ogni caso devastazione fisica e progressiva immobilizzazione. Tutti i medici: "Non c'è nulla da fare, si prepari al peggio". Ma non era stato proprio lui a studiare l'effetto placebo dei farmaci e il potere dell'autosuggestione?
Allora si disse: "Adesso tocca a me. Io voglio aver fede che guarirò". Cambiò radicalmente la sua vita (si disse: "Se vivere così mi paralizza, dovrò fare tutto diversamente!), iniziò a coltivare emozioni positive (amore, speranza, fiducia in sé, ecc.) e la terapia del sorriso: ogni giorno dosi di film che lo facevano ridere e soprattutto la fede. 8 giorni dopo il suo medico, incredulo, notò miglioramenti e 4 mesi dopo, inspiegabilmente (per chi non ha fede) era tornato a pieno regime di lavoro. E' morto nel 1990!
Leonard Laskow è un ostetrico, ginecologo e chirurgo di successo e in ascesa di notorietà. Nel 1971, un giorno, sente un dolore al braccio. Fa la diagnosi e lui, chirurgo, capisce subito: cancro osseo. Sa perfettamente il protocollo: l'amputazione. Il mondo gli crolla addosso: non avrebbe mai più potuto essere chirurgo. Un dolore enorme. Una notte fa un sogno e una voce gli dice: "Il tuo lavoro è quello di guarire attraverso l'amore". Si risveglia sgomento e non vuole accettare tutto questo (malattia e voce). Ma poi l'accetta, cambia vita e diventa guaritore. E guarisce.
Giobbe 42,5: "Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono".

L'incontro con il Risorto è una bomba nucleare che ti cambia la vita, ti sconvolge, ti fa diverso. La gente pensa alla fede come un restyling, uno smussare, un addolcire, un aggiustamento, un diventare un po' più gentili, buoni, amabili. Ma l'incontro con il Risorto è un uragano che spazza via tutto e ti fa diverso. Perché quando lo senti Vivo e vivere dentro di te, non puoi più essere come prima. E se sei come prima semplicemente non lo hai incontrato.
Per questo non dobbiamo temere di proporre incontri alti, forti, profondi, duri, intensi: Lui è così. Fede è cambiare vita, incontrare Uno dopo il quale non puoi mai più essere lo stesso. Dobbiamo dirlo alle persone che la fede è questo, altrimenti pensano che la fede sia una preghiera, una buona azione, un gesto d'amore. La fede è fare un incontro che ti cambia la vita; è l'incontro che ti fa vivere.

Poi Gesù dice: "Nella casa del Padre mio ci sono molti posti" (Gv 14,2). Molti=tanti, per tutti. E allora perché temere? Perché aver paura? In Dio c'è spazio per tutti.
Ma "molti posti" vuol anche dire che ciascuno ha il suo posto. Il mio posto non è il tuo e il tuo non è il mio. Io non copio te, e tu non copiare me. La gente si sente brava se fa come tutti gli altri. E, invece, dovrebbe sentirsi male. Perché Dio non crea nessun doppione, nessun duplicato e nessuna fotocopia. Ogni riproduzione è una vita sbagliata, non realizzata, non osata. Per molte persone differenza di cammino vuol dire divisione, invece è solo diversità. Per molte persone uniformità=comunione, invece è solo omologazione. Lo slogan di Dio è: "Ognuno al suo posto perché ognuno ha un suo posto".

Un giorno al figlio rabbino che sostituì il padre rabbino morto dissero: "Non sei come tuo padre!". E lui rispose: "Sì, invece, sono uguale a mio padre. Lui non copiava nessuno e io neppure". Ciascuno ha il suo posto. Ciascuno ha il suo compito. Ciascuno ha la sua strada.
Ci sono molte vie per arrivare a Dio. Per tanto tempo invece si è detto: "C'è un'unica via per andare a Dio. O fai così o non puoi andarci". "Per arrivarci devi fare così e così" e giù tutta una serie di indicazione molto precise e dettagliate.
Non copiare nessuno, realizza la tua vita e lascia che gli altri realizzino la loro. Se non fanno come te è bene; e se tu non fai come loro è bene perché ognuno è unico.
Ma basta guardarsi attorno: non c'è una foglia, una pianta, una formica in natura che sia uguale all'altra! Non c'è un volto, una persona, una storia che sia identica ad un'altra: ognuno è assolutamente unico, originale, diverso. Tanti posti, quindi, perché tanti modi.
Allora: io arrivo a Dio con una strada, che è la mia e tu ci arrivi con un'altra che è la tua. Nessuno invidia nessuno, nessuno impone a nessuno.
C'è chi arriva a Dio attraverso la parrocchia e chi arriva attraverso il travaglio della vita; c'è chi arriva attraverso la conoscenza di sé (e più a fondo si scopre qualcuno ben più grande di sé), c'è chi arriva aiutando le con le persone e facendo della propria vita un servizio agli uomini; c'è chi arriva con una vita contemplativa e monastica, c'è chi arriva passando per una vita mondana; c'è chi arriva dedicandosi solo a Dio, c'è chi arriva amando un altro essere umano (che non è mai in contrapposizione a Dio). E c'è chi non c'arriva mai, ma Dio arriva a tutti.
C'è chi arriva a Dio pregando con molte parole e per lui può essere buono così; c'è chi arriva attraverso il silenzio e la meditazione; c'è chi arriva ascoltando ciò che ha dentro e chi arriva ascoltando quello che "le autorità" religiose stabilite dicono.
Molte delle mie "nonnette" pregano Dio con il rosario: a me personalmente non dice molto perché lo sento come una ripetizione; a me fa più bene "ripetere" un'unica parola del vangelo, a mo' di mantra, armonizzandola con il mio respiro. E a ben pensare anche il mio è un rosario, solo diverso.
Alcuni pregano in ginocchio, altri in piedi, altri seduti, altri cantando, altri non dicendo niente.

Il vangelo si conclude così: "Voi farete quello che compio io e cose più grandi" (14,12). La maggior parte di noi non crede a questo: "Dai, non scherziamo. Gesù è stato Gesù! e io sono io". Eppure sono parole di Gesù tanto quanto le altre. Se le ha dette vuol dire che sono vere.
La maggior parte delle persone non crede di essere potente, importante, di poter fare grandi cose. Guardatevi allo specchio: cosa vedete? "Ah se fossi un po' più intelligente, se sapessi un po' di più, se avessi l'intelligenza di quel tale o la simpatia di quel tal'altro, se sapessi parlare meglio, se si sapesse che ho fatto questa cosa, se si sapesse che faccio questi pensieri, se venisse fuori che io sono". Per cui la conclusione che traete è: "Posso ma non tanto; qualcosa sì ma non più di tanto". Gesù però non vi vede così, ricordatevelo. Gesù non vi ha creato così, "un po'", seppiatelo.
Quando Gesù vide Pietro gli disse: "Seguimi". E un po' dopo: "Su di te fonderò la mia chiesa". Gli Apostoli dicevano: "Su Pietro!? Testardo, duro e cocciuto com'è!? Ma se lo chiamiamo "de coccio" (traduzione di Pietro, pietra, per via del carattere di pietra e ostinato che aveva)?
Una storia narra che un giorno una principessa incontrò un rospo. La principessa si spaventò a sentire parlare un rospo la lingua degli uomini. Ma il rospo la rassicurò: "Non sono un rospo, sono un principe che una strega ha trasformato in rospo. Ma se troverò una principessa che per tre giorni stia con me l'incantesimo si spezzerà". Così la principessa se lo portò a palazzo. Tutti erano ripugnati dal vederla con un animale simile. Ma dopo tre giorni l'incantesimo si ruppe e il rospo ridivenne il principe.
Tutti siamo rospi. E Gesù è quella principessa che ci dice: "No, non è vero che tu sei così. Io ho visto ciò che è nascosto in te, ciò che sei dentro. Tu farai cose grandi. Io lo so, tu credici".
Se non crederete che dietro o dentro a quello che appare si nasconde un principe, rimarrete per sempre dei rospi. Sei quello che vuoi credere di essere. E diventerai esattamente quello che credi di essere.


Pensiero della Settimana
"Sei protetto; sei amato; sei unico; sei importante":
vivi ogni giorno alla luce di questa verità.