Omelia (24-04-2011)
padre Gian Franco Scarpitta
"Vide e credette"

Dopo che lo stupore ci aveva assaliti nel considerare la "pazzia" di un Dio crocifisso e sconfitto sul patibolo, oggi siamo chiamati al gaudio e alla letizia, perché comprendiamo che tale sconfitta era solo apparente: Colui che avevamo visto incamminarsi verso la morte è risuscitato.
Celebrare la Risurrezione è stato l'obiettivo ultimo di tutte le liturgie della settimana appena trascorsa; davanti al Risorto possiamo avere di esse un epilogo di gioia altisonante, quanto tristi sono stati gli ultimi tre giorni di passione e di immolazione.
Finalmente insomma possiamo esultare, rallegrarci, comunicarci gli uni gli altri, con occhi radiosi e illuminati la gioia che ha conseguito alla mestizia del dolore.
Come sia avvenuta l'uscita di Gesù dal sepolcro non ci sarà mai dato saperlo, poiché i vangeli (canonici) tacciono su questo argomento riferendoci solamente poche tracce. Essi parlano del sudario ben piegato in un angolo e delle bende sparse per terra, cosa che di fatto esclude la possibilità di un furto di cadavere: nessun profanatore, per quanto abile ed esperto, nella fretta e nella foga di completare l'operazione, avrebbe posto premura di spogliare il cadavere dalle bende e dal sudario. I vangeli parlano anche del sigillo nel sepolcro, della sorveglianza previa e degli accorgimenti da parte delle autorità. Ma nonostante tutto questo, la pietra è stata ribaltata e anche questo legittima la resurrezione. Nonostante queste deduzioni e altre ancora che si potrebbero fare, l'evento che oggi festeggiamo resta pur sempre un mistero insondabile, un arcano che le nostre congetture e le nostre riflessioni non potranno mai comprendere e seppure ci sono elementi che lo giustificano, esso resta sempre incomprensibile alle nostre facoltà cognitive.
Come poi afferma Ratzinger nel suo ultimo libro, il sepolcro vuoto non è la prova illuminante della resurrezione, perché anche Maria di Magdala, giunta sul posto, ritenne che qualcuno avesse portato via il corpo del Signore. Ciò nondimeno, seppure la tomba vuota non prova nulla, essa è il presupposto della nostra fede nella Risurrezione. Il discepolo entrato dopo Pietro, infatti "vide e credette".
E appunto la fede è la chiave di volta per la comprensione di questo evento: non le giustificazioni razionali ci devono convincere, ma il nostro concederci alla novità dell'evento stesso, l'apertura del cuore che viene interpellato per primo, il tacere dei raziocini, il solo dire... Credo.
La resurrezione è insomma un fatto gratuito, un dono che ci è stato consegnato e che va semplicemente accolto con un dono di adesione. Appunto con l'apertura consapevole e libera della fede e dell'aderire altrettanto libero e spontaneo.
E proprio questo ci incute una domanda ben precisa: che cos'è per noi la Resurrezione? Quali interpretazioni essa suscita nel nostro vissuto, nella nostra storia?
Se per risurrezione dovessimo intendere, in questa domenica, la semplice riabilitazione di un cadavere, allora non ci troveremmo di fronte ad un evento nuovo e neppure questo comporterebbe la conseguenza della gioia che oggi ci viene concessa. Si tratterebbe certo di un avvenimento straordinario, eclatante e insolito, ma senza alcuna rilevanza sulla nostra vita: per quanto sensazionale, esso sarebbe sterile e infecondo. Come quando si ha notizia di un defunto che riapre gli occhi per un errore di valutazione sull'arresto cerebrale o di un cadavere che improvvisamente torna in vita dopo catalessi o morte apparente.
La risurrezione che noi oggi festeggiamo nella letizia è piuttosto la risurrezione di Gesù Cristo, quella del Signore che aveva voluto incarnarsi per entrare a far parte della nostra vita e per percorrere le tappe della nostra storia, condividendo in pieno ansie, angosce, paure e precarietà del nostro vivere. Gesù Cristo, pur essendo Figlio di Dio, si è umiliato fino a condividere la miseria, l'indigenza, la fame, la solitudine e le altrui ingiustizie, non rinunciando a fare esperienza umana della paura, della sofferenza e della morte. Ma questa ha avuto il suo seguito nella risurrezione, non limitativa alla rimessa in funzione del corpo fisico, ma significativa di vittoria definitiva sulla morte e di imperituro dominio di tutte le forze del male. Come testimonierà poi Pietro, "non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere" (At 2, 22), cosicché ne ha avuto ragione con la fuoriuscita vittoriosa dal sepolcro. Lasciando la pietra ribaltata, le bende per terra e il sudario ben piegato a parte, Egli si è mostrato Signore definitivo e incontrastato della realtà che costituisce da sempre un'incognita per tutti gli uomini e ne ha reso impotenti tutte le prerogative e le potenzialità: "Cristo è risorto, la morte non ha più potere su di lui"(Rm 6, 9)
Siffatto evento però ci tocca da vicino. Riguarda ciascuno di noi, la sua storia, i suoi progetti, le aspettative e le ambizioni. Che Cristo abbia vinto infatti la morte dopo essere stato di essa succube e sottomesso e dopo aver esperito la più frustrante e desolante delle condanne capitali, è ragguardevole anche per la nostra vita, perché ciascuno dei nostri giorni diviene ambito di vita piena e il nostro quotidiano si dispiega nell'ottica della qualità del vissuto stesso.
In altri termini, la risurrezione ci dischiude le porte per qualificare al meglio la nostra vita e per procedere con più fiducia e speditezza nella costruzione del nostro domani pur considerando e valorizzando la pienezza dell'oggi. Immedesimandoci nel Risorto noi riscopriamo il senso della nostra esistenza e qualifichiamo al meglio la nostra vita e anche le nostre opere assumono una connotazione del tutto nuova per la quale ci sentiamo galvanizzati e spronati.
Con Cristo Risorto tutto assume una coloritura differente: il passato non è più assillo di angoscia ma memoria di un passaggio che è stato necessario per le nuove conquiste; il futuro non è più un'incognita di fronte alla quale trepidare sgomenti ma è un itinerario di fiducia che nella fede e nella speranza è possibile percorrere; il presente non è sinonimo di angoscia e di inquietitudine ma è il luogo del progettare e del costruire con attenzione quanto ci proponiamo nel bene e la storia diventa la dimensione nella quale non si sopravvive ma si progredisce.
Oggi siamo invitati pertanto alla gioia e alla letizia, perché si instaurano per noi nuove prospettive di vita e ci si prospetta un nuovo criterio di convivenza umana che se messo in atto potrà conseguire pacificazione con noi stessi e con gli altri, sempre scaturente dalla novità di vita che apporta per noi il Cristo Risorto che non muore più.
Se Cristo è risorto, come insegna Paolo, "cerchiamo le cose di lassù" (Col 3, 1) procacciando di vivere nell'ottica dello stesso Risorto, scegliendo la vita e rifuggendo la morte sempre dilagante della perversione, del vizio, del peccato, essendo appunto il peccato la persistenza della morte fra di noi e il nostro vanificare la Risurrezione stessa.
Nella nuova dimensione di vita apportata dal Cristo Risorto vanno omesse tutte quelle scelte che costituiscono l'ostacolo a che la Resurrezione possa essere il nostro sprone di vita e i nostri atteggiamenti devono scongiurare che continuiamo a vivere come se Cristo fosse sempre rimasto nel sepolcro...
AUGURI A TUTTI DI BUONA PASQUA: