Omelia (23-01-2011)
don Alberto Brignoli
Nella "Galilea delle Genti", ovunque sia

Si sente spesso usare l'espressione "un porto di mare" per indicare un luogo o una situazione caotica, senza precisi punti di riferimento, dove si incontrano e si mescolano - spesso in maniera disorganica - razze, popoli, lingue, gruppi etnici e tipologie umane delle più diverse estrazioni sociali, unite solo dal fatto di appartenere all'umana natura (senza stare troppo a considerare la qualità di questa natura...).
Il mare, o meglio la riva di un mare, per quanto affascini e dia un senso di infinito ai nostri sguardi che da lì si perdono verso l'orizzonte, diviene nel nostro immaginario il luogo dell'instabilità, della provvisorietà, del continuo divenire, di popoli leggendari che arrivano dal mare e si stabiliscono sulla costa per un poco di tempo, per cercare un approdo, un momento di riposo al continuo navigare, all'eterno peregrinare da mare a mare, per "mettere giù" le basi per una vita più stabile.
Ma l'insidia delle onde e dei maremoti è sempre in agguato, il pericolo di popolazioni barbare che invadono il tuo pezzo di costa è sempre lì, a metterti sulla difensiva, a farti comprendere che tu, in quel luogo, una casa stabile sulla roccia non l'avrai mai. Non per niente, trovi sabbia: per dirti che lì tu sei di passaggio, e che quello non può essere il tuo paradiso, anche se così l'hai sognato da sempre.
Sognano un paradiso sulla riva del mare anche quei milioni di persone che da decenni, ormai, partendo dalle valli e dalla foresta retrostanti, vengono qui, su quella costa di oceano peruviano che fa da corona alla città di Lima, e dalla quale in questo momento sto scrivendo.
Sullo sfondo, montagne, prima solo accennate, poi stagliate verso un cielo quasi sempre del colore del piombo di cui le miniere del paese sono ricche; montagne di polvere divenuta prima sabbia, poi pietrificatesi in un'apparenza di stabilità, sufficiente a far credere che lì si può costruire una casa anche se non c'è acqua per vivere, anche se non c'è sufficiente luce del sole per far maturare i pochi frutti della terra, anche se non ci sono strade percorribili in tempi ragionevoli per scendere verso la città in cerca di lavoro.
Montagne di sabbia tetre e inospitali che rimangono comunque il miraggio di una vita di possibilità, tutta da inventare, tutta da costruire. Montagne su cui, in questi decenni, si è riversata una folla considerevole di persone in cerca di fortuna. Una vera e proprio "Galilea delle Genti": pure questa, come allora, situata "sulla riva del mare". Mare che "non ha mai dato tanto". Mare che ti può spazzare via con l'onda anomala di uno tsunami. Mare che rende di sapore salmastro - e spesso invivibile - ogni tentativo di relazione umana.
Mare lungo il quale, però, c'è Qualcuno che cammina. Che osserva la Galilea delle Genti. E che chiama.
Chiama proprio "gente di Galilea" ad andare dietro a lui, lasciando da parte il miraggio di una barchetta e di qualche rete bucherellata, che rappresentano pur sempre una speranza di vita.
Chi chiama, però, ha da offrire molto più del mare. Chi chiama ha una luce tutta particolare, che permette a un "popolo che cammina nelle tenebre" di uscire dall'oscurità e di iniziare a camminare alla luce del sole.
Chiama in ogni momento: a volte proprio sul più bello, mentre si stanno "gettando le reti in mare", mentre si sta provando a racimolare qualcosa, a mettere a frutto le proprie conoscenze e le proprie abilità; a volte, invece, mentre si stanno "aggiustando le reti", mentre ci si sta "leccando le ferite" per un insuccesso, per un brutto colpo ricevuto e non del tutto assimilato, per un'attività - è proprio il caso di dirlo - andata buca; e chiama anche se sulla riva del mare con noi ci sono le poche sicurezze che abbiamo, due reti bucate, una barca sgangherata e un padre anziano che comunque ci vuole bene.
Chiama perché ha da offrire molto più del mare. E ce lo dimostra da subito: offre l'incontro con un'altra Galilea delle Genti, gente oppressa da infermità, da malattie fisiche e morali, gente che ha bisogno a sua volta di essere "chiamata", disincagliata dalla riva del mare da gente come loro, da pescatori.
Sì, da pescatori che questa volta non cercano pesce, ma vanno in cerca dell'Uomo, dell'Umanità.
Quanta sabbia, quanta salsedine, quanta melma, quanta poltiglia di alghe maleodoranti anche sulle rive del nostro Mediterraneo.
Quanta voglia avremmo di disincagliarci, di farla finita con una società senza riferimenti valoriali, senza scrupoli, senza rispetto per nessuno, senza riguardi, senza contegni, senza pudore, senza anima, senza Dio!
È ipocrita chiamare "terzo mondo" quello che sto guardando con i miei occhi in questi giorni. Ipocrita, perché di "terzo mondo" ne abbiamo tanto anche a casa nostra. Di Galilea delle Genti ne abbiamo molta anche nella nostra patria, ma non per via dei molti colori della pelle o per la pluralità delle lingue presenti, ma per il sapore putrido dell'immoralità e per la bassezza morale di coloro a cui abbiamo affidato le sorti del nostro Paese.
È ora di dire "Basta!".
Ritorniamo a lasciarci illuminare da una Luce ben più gloriosa. Lasciamoci guidare da chi, in questa Galilea delle Genti, ci entra non per "divertirsi", ma per salvarla. Facciamoci spazio, nella nostra vita, a chi cammina sulla riva del mare per chiederci non di crogiolarci al sole delle nostre comodità e delle nostre ricchezze, ma di spingerci ancora una volta "al largo", dove vale ancora la pena continuare a gettare le reti.