Omelia (26-12-2010)
Ileana Mortari - rito romano
Sar� chiamato Nazareno

E' noto che i primi due capitoli di Matteo (come anche i corrispondenti di Luca) appartengono ad un particolare genere letterario, detto "vangeli dell'infanzia", i quali non hanno primariamente un intento storico-cronachistico, ma si propongono piuttosto di "leggere" gli episodi dei primi anni di vita del Signore in relazione alle Scritture e al complessivo piano divino di salvezza.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tali testi sono stati scritti non per primi, ma per ultimi, alla luce del mistero pasquale e della rivelazione totale del Figlio di Dio, osteggiato dai capi di Israele tanto da essere crudelmente tolto di mezzo, ma risuscitato da Dio Padre.

Il primo nucleo dei vangeli fu il lungo racconto della Passione e della morte di Ges�, seguito dagli episodi di apparizione del Risorto; poi presero forma narrativa le raccolte di detti e fatti del Maestro. Infine, anche per rispondere a maligne insinuazioni circa le origini del Nazareno, Matteo e Luca raccolsero quante pi� informazioni poterono (da parenti e ambienti vicini a Giuseppe e Maria) sulla nascita e i primi anni di vita del Messia e li interpretarono alla luce delle Scritture e di tutta la vita del Signore, creando dei racconti con una indubbia base storica, ma rielaborati con intento teologico.

Cos�, nel racconto trasfigurato della nascita e dei primi tempi della vita di Ges�, il redattore vuole ridare al Messia di Israele e Figlio di Dio quella importanza e gloria che i suoi connazionali non avevano saputo riconoscergli e tributargli adeguatamente nella grotta di Betlemme e nell'umile dimora di Nazareth; prerogative che invece Matteo e la sua comunit� giudeo-cristiana gi� da decenni e con piena convinzione di fede gli riconoscevano.

Il problema era che Ges� compiva le promesse del Primo Testamento, realizzava le antiche profezie, ma non pari pari, alla lettera dei testi, bens� creando un notevole "sconcerto": il Messia viene, � Figlio di Davide, ma non generato da lui; la regalit� messianica gli � propria, ma non � caratterizzata dal potere politico; il Figlio di Dio si � manifestato, ma � un nazareno, cio� un perseguitato, cresciuto in terra pagana; Ges� � il Signore, ma non in Gerusalemme, bens� nella Galilea delle genti. Soprattutto: il Messia � apparso e ha predicato, ma � stato rifiutato proprio dal suo popolo e messo a morte. Perch�?

Matteo si propone allora di elaborare una vera e propria catechesi per la sua comunit� di giudei-cristiani, in cui mostrare che, aldil� dello sconcerto, davvero in Ges� di Nazareth si realizzava il piano di Dio. Per fare ci�, egli si serve di un procedimento teologico caratteristico della scuola rabbinica cui pare appartenesse e che consisteva nel meditare sulle Scritture con i metodi del giudaismo del tempo. Uno di questi era il Midrash, una forma di rilettura di testi sacri precedenti, che sviluppava, arricchiva, trasponeva il messaggio primitivo, interpretandolo con una certa libert�, in modo da rispondere ai problemi del tempo, fino a dare ai testi antichi un senso nuovo.

I capp. 1 e 2 del primo evangelista sono appunto la rilettura-attualizzazione delle Scritture in occasione di avvenimenti nuovi, un modo di capire la realt� vissuta alla luce della Parola di Dio, mettendo in risalto l'armonia esistente tra le realt� presenti (fondamentalmente la vicenda di Ges� di Nazareth) e le parole della Scrittura.

Cos� nella sequenza di 1,18 - 2,25 Matteo riunisce cinque episodi delle origini di Ges�, collegandoli - mediante il procedimento midrashico - ad altrettanti testi dell'Antico Testamento, allo scopo di presentare l'infanzia del Nazareno, da un lato come contenente in germe tutte le antiche vocazioni (da quella di Mos� a quella di David) che egli realizza; dall'altro come gi� segnata, "in nuce", da quei tratti (universalismo - cfr. episodio dei Magi -, rifiuto - cfr. Erode, - non considerazione e disprezzo per la provenienza dall'oscura Nazareth) che avrebbero caratterizzato tutta la sua vicenda storica.

Ad esempio, nella pericope del massacro dei bambini innocenti (Mt.2, 16-18), il redattore vuole mostrare che Ges� Cristo � il nuovo Mos� atteso dagli Ebrei per siglare una nuova Alleanza. Infatti, quando Ges� era bambino (come Mos�), dovette affrontare una tragica persecuzione (come Mos�) e riusc� a salvarsi miracolosamente da Erode, che lo cercava per ucciderlo, quantunque questa fuga abbia significato la morte di altri bambini innocenti al suo posto (proprio come Mos�, anche in quest'ultimo tragico evento - cfr. Es.2,1 ss).

Matteo dunque attualizza la Scrittura, mostrandone la realizzazione in Ges�; e nello stesso tempo intende far superare lo "sconcerto" suscitato dalla realt� di un Messia non glorioso e vittorioso, come ci si aspettava, ma osteggiato e perseguitato, richiamando la nostra attenzione su un Bambino che fin dal suo apparire sulla scena del mondo, � fatto oggetto di trame oscure e letali da parte di malvagi, situazione di "persecuzione del giusto" peraltro gi� pi� volte contemplata nella Storia della Salvezza.

Nel costante richiamo alle Scritture si collocano le famose "citazioni di adempimento" tipiche del 1� evangelista, che ci presenta Ges� nella sua piena corrispondenza al progetto divino rivelato al popolo dell'antica alleanza, Colui nel quale le promesse fatte ai padri si compiono. Nella pericope odierna ne troviamo due. La prima � relativa al fatto che Giuseppe resta in Egitto con Ges� e Maria fino alla morte di Erode, "perch� si compisse ci� che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato mio figlio." (v.15 b)

Lungo il corso della storia biblica l'Egitto appare pi� volte come il rifugio sicuro di gente spinta all'esilio dalla fame (cos� per i figli di Giacobbe - cfr. Gen.42 ss.) e di rifugiati politici (cfr.1�Re 11,40 e Ger. 26,21), situazioni ora riassunte e simboleggiate nell'episodio (solo di Matteo) della fuga di Ges�, il quale � il nuovo Israele. La citazione del profeta Osea, che parlava del popolo ebraico prescelto da Dio (tanto da essere detto "mio figlio") e tratto dall'Egitto alla terra promessa, trova ora, nel Messia, il suo pieno significato: � Ges� il vero Figlio di Dio, nel senso proprio e totale del termine.

Quanto all'altra citazione di adempimento pure tratta dai profeti, "Sar� chiamato Nazareno" (v.23), probabilmente Matteo vuole stornare dall'appellativo (attribuito a Ges� dalla tradizione giudaica) l'alone di disprezzo suscitato dall'irrilevanza della borgata di provenienza (Nazareth era un paese piccolissimo, con pochissimi abitanti, mai citato nell'Antico Testamento). E questa volta utilizza lo strumento (proprio dell'esegesi ebraica) della paronomasia, o somiglianza dei nomi; egli individua nelle Scritture due termini assonanti con Nazareno, che "riscattano" lo spregiato nomignolo: "naz�r", il "consacrato", cio� una persona particolarmente "santa" e dedicata al Signore (cfr. Gdc.13,5.7), come la missione del Figlio riveler�, e "n�tzer", "germoglio", che Isaia usa in senso messianico (cfr.11,1) quando annuncia il virgulto che spunter� dal tronco di Iesse.

Cio�: il soggiorno di Ges� a Nazareth non � casuale, ma rientra nel piano divino. Il nome stesso del piccolo centro abitato ci ricorda che Cristo � dono di Dio, a Lui consacrato, � un germoglio prodotto non dal nostro tronco secco, ma dalla fecondit� di Dio.