Omelia (26-12-2008)
Paolo Curtaz


Il primo dei martiri mette in risalto l'aspetto crocifiggente e destabilizzante del natale, la luce viene ma le tenebre non l'hanno accolta!

Otto giorno dura il natale. Otto giorni per avere il tempo di capire, di stupirsi, di credere, di cedere. Otto giorni contrassegnati dalla luce del natale, dalla sfida di un Dio presente e di un uomo assente. Dio è nato, e chiede di nascere ancora nei nostri cuori. La sua presenza è destabilizzante, inquietante, faticosa: il figlio di Dio è costretto a nascere come i poveri e i derelitti e da questi viene accolto e riconosciuto. E subito, in maniera destabilizzante, inquietante, la liturgia ci fa celebrare la morte di Stefano, il primo discepolo ucciso dopo Gesù. Questo accostamento così stridente ci vaccina dal morbo pestilenziale del Natale tarocco, quello fatto di falsi buoni sentimenti. Quel bambino che nasce è segno di contraddizione, fa tremare i re, scuote gli imperatori. Non porta pace ma fuoco, non accarezza ma schiaffeggia. Eccolo, Dio. Diverso, troppo diverso per essere accolto senza sussultare, troppo diverso per non suscitare stupore e rabbia. Stefano, primo di una interminabile schiera di testimoni, è disposto a morire per annunciare la verità della resurrezione di Cristo. Il sangue che celebriamo oggi ci allontana dalla tentazione di sprofondare nel cotone il bambinello. Come coraggiosamente dipingono i fratelli ortodossi nell'icona della natività, il bambino è deposto nel profondo di una tomba, non in una mangiatoia. Egli è già il crocifisso.