Omelia (26-09-2010)
don Alberto Brignoli
Dio e la ricchezza: bastonata nr. 2

Quando il Caravaggio, nel 1599, dipinge la Vocazione di Matteo per la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, rappresenta uno dei compagni dell'apostolo seduti con lui al banco delle imposte mentre fissa le monete riscosse indossando un paio di occhiali, quasi accecato dalla visione del denaro. È solo un'immagine pittorica; ma dice bene ciò che Luca vuol trasmettere anche con un brano di Vangelo come quello di quest'oggi, ovvero che la ricchezza acceca, impedisce all'uomo che ne è in possesso di vedere con occhi limpidi il mondo che lo circonda: e ciò che è peggio, lo trasforma nell'uomo delle tenebre, colui che nell'oscurità e nell'oscuramento delle proprie azioni si sente talmente a suo agio che nel momento delle tenebre fa addirittura emergere il suo senso di umanità.
È la sottile ironia di Luca, quando - attraverso il racconto di Gesù - mette in bocca al ricco vestito di porpora e lino finissimo parole di pietà e misericordia solo nel momento in cui si trova nello Sheol, il Regno dei morti. Gretto e meschino nella vita di fronte al povero della porta accanto, questo ricco si dimostra signore dall'animo nobile e magnanimo nel mondo delle tenebre. Ma è ormai troppo tardi. E poi, nobile e magnanimo con chi? Con i suoi simili, i suoi cinque fratelli (con lui erano sei... interessante... non riescono nemmeno ad arrivare al numero sette della perfezione... del resto, che perfezione vuoi che abbia la ricchezza?!): con chi è diverso da lui, con il povero Lazzaro, nobiltà e magnanimità zero, anche dopo la morte.
Anzi: il povero continua a "servirgli", gli è utile a non provare più il tormento della sete, e allora ordina ad Abramo di mandarglielo giù, negli inferi, con una goccia d'acqua. Come se Abramo fosse il suo maggiordomo che manda uno della servitù a fargli il servizio più umile... del resto, abituato com'era a farsi servire e riverire, non cambierà mai nemmeno da morto!
Ma cos'ha fatto questo ricco per finire nel mondo delle tenebre? Perché Gesù giunge a raccontare una parabola così drammatica e che sembra non lasciare scampo ai ricchi? Va detto che Gesù racconta questa parabola (come Luca dice al versetto 14) per i farisei che, attaccati al denaro, si burlavano di lui, dopo aver ascoltato dal Maestro la frase finale del vangelo di domenica scorsa: "Non potete servire Dio e la ricchezza". Gesù li conosce bene, e sa altrettanto bene che i farisei credevano molto alla resurrezione dai morti e all'Aldilà, visto come luogo in cui in anima e corpo si poteva portare a piena perfezione quanto operato nella vita. Se quindi un uomo benedetto da Dio aveva accumulato ricchezze nella vita terrena, quanto più in quella futura. Immaginiamoci la reazione dei farisei di fronte a una parabola in cui Gesù parla dell' Altro Mondo come luogo in cui le situazioni terrene non solo non rimangono identiche, ma addirittura si ribaltano e - secondo la più classica delle teorie del contrappasso (di cui Seneca prima e Dante poi ci danno stupendi esempi letterari) - chi nella vita ha ricevuto beni, nell'Aldilà è fra i tormenti e chi nella vita ha ricevuto mali, nell'Altro Mondo è consolato. D'accordo: questa legge del contrappasso possiamo forse comprenderla nell'ottica di una giusta retribuzione per le cattive opere compiute o subite nella vita terrena. Ma questo ricco, che male ha fatto? E il povero Lazzaro, che male ha subito? La parabola non dice assolutamente nulla dei loro buoni o cattivi comportamenti o dei torti da loro commessi o subiti...
La questione sta proprio lì: ciò che provoca il torto, commesso o subito, non è altro che la ricchezza stessa, che (come già domenica scorsa) il Vangelo ci dice non avere in sé nulla di buono, e la definisce disonesta. Soprattutto quando arriva ad accecare chi la possiede, come il ricco della parabola di oggi. Il quale ha tutto: ricchezze, abiti di prima qualità, cibo in quantità e banchetti quotidianamente succulenti. Ha proprio tutto. Ha pure un povero, fuori dalla sua porta: un povero che sembra quasi una sua proprietà, come un cono d'ombra che in questo meraviglioso dipinto della sua ostentata ricchezza mette ancor di più in luce la sua magnificenza.
Ha tutto, ma gli manca una cosa, che invece il povero ha: un nome. Ovvero, un'identità, una dignità, una percezione precisa di chi egli è nella vita: ha tutto, ma non è nessuno. Il povero, invece, non ha nulla, ma è qualcuno, è Lazzaro, che assurdamente significa "Dio aiuta". Assurdo per il ricco, e per i farisei da lui rappresentati; assurdo - per loro - che Dio corra in aiuto di una persona che esteriormente non mostra alcun segno meritevole di rispetto. Per coprirsi, non ha vestiti, ma piaghe. Per mangiare, non ha cibi, ma briciole che cadono dalla tavola dei potenti. Per curarsi, non ha medici, ma un branco di cani che leccano le sue ferite e che così mostrano a lui la pietà e la misericordia che altri non hanno. Assurdo, che un uomo dalla visione così poco piacevole stia alla porta della lussuosa villa del ricco: meglio farlo sparire dalla vista! Via i poveri dalle piazze, sono brutti da vedere, sono un fastidio per la vista! Ma per quale vista? Per quella dei ricchi già accecati dalle loro ricchezze e che si accorgono di appartenere all'umanità solo quando sono nel mondo delle tenebre? Attenti, perché Dio vede bene! E ascolta bene, soprattutto il grido del povero. Ci pensa lui, sì, a toglierlo dalla vista del ricco, per farlo portare dagli angeli accanto ad Abramo. Così il ricco potrà continuare a banchettare senza una spina nel fianco, e vivere a lungo felice e contento!
Ma...toh: muore anche il ricco! Con tutti i suoi beni non ha potuto impedire alla vita di fare il suo corso. E la cosa più strana è che i suoi beni non sono andati nel mondo di là con lui! Di lui si sa solo che fu sepolto: una bella pietra sopra ed è tutto finito! Magari! Se la sarebbe goduta per tutta la vita finché ha potuto, per cui tutti lo direbbero beato! E invece non finisce lì. Anche lui va nell'Altro Mondo (i farisei lo sanno bene, perché ci credono): e là, non lo aspettano i suoi beni, ma solo tenebre e tormenti.
Però finalmente gli si aprono gli occhi, e gli si aprono bene: perché vede di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Finalmente il ricco vede anche il povero! Ed inizia a fare ciò che nella vita non ha mai fatto: grida. I suoi canti di gioia e baldoria si trasformano in disperati gridi di dolore. Ed osa ciò che non ha mai osato: chiamare Abramo "Padre", e soprattutto chiamare "quel povero là" per nome, Lazzaro. Scusa, ma allora...lo conosceva bene, anche di nome! Sapeva chi era, nella vita terrena! Allora non era cieco: ci vedeva bene, ma non voleva vederlo, perché gli dava fastidio! Peggio ancora: questo ricco sapeva chi era e dove viveva il povero, e per lui non ha fatto nulla! È proprio finita: non c'è possibilità di riscatto. Altro che improbabili e disperate richieste di misericordia finale, anche solo da "punta del dito a bagnarmi la lingua" (della serie: "Ti prometto, non chiederò nulla di più!").
Ma Dio non dimentica: e Abramo invita il ricco (ha la memoria un po' corta, non solo la vista) a "ricordarsi" come stavano le cose nella vita. Adesso tutto si è ribaltato. Per di più, il "grande abisso" del giudizio di Dio non si può più percorrere, è definitivamente chiuso: sentenza inappellabile, anche in Corte di Cassazione! E non c'è amnistia che tenga. Nemmeno per i cinque fratelli, a cui il ricco (preso solo adesso da sentimenti di pietà) vorrebbe inviare Lazzaro (continua a volerlo utilizzare, ?sto sfacciato!) perché "li ammonisca severamente e non vengano anch'essi in quel luogo di tormento"! Abramo taglia corto con questi tardivi ed inutili sprazzi di pietismo: "Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro". Profeti, Legge di Mosè e Sapienza formavano la Bibbia dell'israelita: ai cinque fratelli ricchi la Sapienza manca, d'accordo, ma hanno Mosè e i Profeti. Se leggono almeno quelli, qualcosa possono iniziare a capire e potrebbero aprire gli occhi prima del tempo. Non servono a niente le apparizioni miracolistiche di defunti e nemmeno le rievocazioni di spiriti e fantasmi a far cambiare la testa a chi non vuol cambiarla, o a far aprire gli occhi a chi non vuole aprirli. "Se a me Dio dicesse di persona o con un segno cosa devo fare o come comportarmi nella vita, lo ascolterei. Ma così...": mi sembra di sentirli, il ricco e i suoi cinque fratelli (amici delle energetiche "Sette Sorelle"?) a giustificare la propria opulenza e la propria inezia di fronte alle necessità dei fratelli più poveri...
Che mondo disumano, quello creato dalla ricchezza! Quando finirà tutto questo? Non c'è speranza, pare.
Ma non è così. La parabola è fin troppo chiara. Ancor più, lo è la frase finale della lettura di Amos: "Cesserà l'orgia dei dissoluti".
E per di più, questa sentenza di Dio sulla ricchezza è inappellabile.