Omelia (05-09-2010)
padre Ermes Ronchi
La felicità che solo Gesù può dare

«Se uno viene a me, e non mi ama più di quanto a­mi suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli...». Le pa­role di Gesù bruciano, sono difficili, perfino pericolose se capite male, ma a capirle a fondo sono bellissime. Sem­brano una crocifissione e so­no una risurrezione del cuo­re. Spezzano la conchiglia per trovare la perla.
Il centro di queste frasi non sta in una serie di «no» det­ti alle cose belle e forti della vita, ma in un «sì» detto a u­na cosa più bella ancora, che Dio solo ha e nessun al­tro può dare. L'accento del­le frasi non è sulla rinuncia, ma sulla conquista. È come se Gesù dicesse: tu sai quan­to è bello voler bene a pa­dre, madre, moglie o mari­to, ai figli, quanto fa bene, quanto fa vivere. Io ti offro un bene ancora più grande e bello, che non toglie nien­te, aggiunge forza, gioia, profondità.
Dice Gesù: io posso darti più di tutti gli affetti della fami­glia... Sembrano le parole di uno fuori dalla realtà, di un esaltato: «Io ho qualcosa di più bello delle esperienze più belle che puoi fare sulla terra, io solo posso farti rin­tracciare la felicità. Io solo». Nessuno ha mai detto «Io» con questa forza e con que­sta pretesa. «Colui che non porta la pro­pria croce e non viene dietro a me, non può essere mio di­scepolo»: «portare» è ben più di «sopportare»; «croce» non è la metafora di tutte le fati­che, le difficoltà e le soffe­renze della vita; quella paro­la contiene il vertice e il rias­sunto della vicenda di Gesù. «Portare la propria croce» è una espressione forte che non si riduce a un invito al­la rassegnazione, saggio ma in fondo scontato. Si tratta di una scelta attiva: scegli per te una vita che assomigli a quella di Gesù: pensa i suoi pensieri, ripeti le sue scelte, preferisci quelli che lui pre­feriva, vivi una vita come la sua, che sapeva amare come nessuno. Prendi su di te la tua porzione d'amore altri­menti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimen­ti non ami. Allora capiamo che il cri­stiano non è figlio di una sot­trazione, ma di una addizio­ne, che Cristo è intensifica­zione dell'umano, che no­minarlo equivale ad incre­mentare la vita.
Al centro di tutto sta un As­soluto che offre la sua luce sulla vita e sulla morte, che dona eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore. Che non toglie amo­ri, ne aggiunge. Il discepolo è uno che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E la sua «fede diven­ta l'infinita passione per l'e­sistenza» (Kierkegaard).
Questo Gesù non lo ami se non lo conosci, ma se arrivi a conoscerlo non lo lasci più.