Omelia (25-07-2010)
mons. Gianfranco Poma
Signore, insegnaci a pregare

"Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?" ha chiesto il Dottore della Legge a Gesù che da buon ebreo, gli ha risposto con un'altra domanda: "Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?" E' importante sottolineare i due momenti della risposta di Gesù: "che cosa sta scritto" e "come leggi". Ciò che segue, si gioca precisamente sui due piani: "che cosa sta scritto" è un dato oggettivo ma "come leggi" impegna il soggetto, l'esperienza fondamentale del lettore che diventa l'ottica alla luce della quale ciò che è scritto assume un senso. Ed è proprio su questo che si innesta la novità dell'esperienza di Gesù che a ciò che è scritto nella Legge dà un senso radicalmente nuovo. "Amare Dio e amare il prossimo" è scritto nel Deuteronomio e nel Levitino, ma l'esperienza di Dio di Gesù dà un senso nuovo all'amore di Dio e opera una congiunzione con l'amore del prossimo impensabile al di fuori di quell'esperienza. Occorre amare Dio per amare il prossimo e occorre amare il prossimo per amare Dio: ma che cos'è l'Amore? Solo chi sperimenta l' "UNO" che è il solo necessario può in Lui sperimentare l'amore per gli altri. Ma come è possibile fare questa esperienza? A questo punto si innesta il brano che leggiamo in questa domenica XVII del tempo ordinario, Lc.11,1-13.
Siamo sempre in cammino verso Gerusalemme, stiamo percorrendo con Lui la strada per essere suoi discepoli. Credo significativo tradurre alla lettera, anche se non molto elegantemente la frase di Luca: "Ed avvenne, nell'essere egli in un qualche luogo orante, come si fermò, un tale discepolo gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni insegnò ai suoi discepoli". Luca è l'evangelista che più di tutti ci mostra Gesù in preghiera: qui, nella frase introduttiva, sembra dirci che la preghiera è il modo normale di essere di Gesù, l'atmosfera in cui Lui vive, quella che dà un colore particolare alla sua esistenza, che si riflette sul suo volto. Gesù è "in un luogo": può essere qualsiasi luogo, è la sua preghiera che lo riempie di vita. In un momento di pausa di questa sua stupenda esperienza di vita, uno dei discepoli si inserisce per chiedergli: "Signore, insegnaci a pregare". Quanto più conosciamo Lui, entriamo in relazione con Lui, anche noi sentiamo il bisogno di chiedergli: "Signore, insegnaci a pregare", che significa: "Signore, insegnaci a respirare la tua atmosfera, a sentire, gustare la vita come la senti tu..." Essere discepoli di Gesù significa mettersi alla sua scuola di preghiera: occorre imparare a pregare e occorre imparare da Lui a pregare. La preghiera è frutto di un'esperienza che afferra tutta la vita e la trasforma: pregare per Gesù è lasciare esprimere tutta la ricchezza del mistero della sua esistenza. Lasciarsi educare alla preghiera da Gesù significa lasciarsi introdurre da Lui nel suo mistero che è essenzialmente il mistero della sua esperienza filiale.
Comincia dunque così la sua scuola di preghiera: "Quando pregate, dite: Padre". Possiamo paragonare questa scuola ad un metodo per imparare una lingua straniera: ogni giorno facciamo un piccolo sforzo, ogni giorno ripetiamo ciò che impariamo e gradualmente ne siamo impregnati e finiamo per saper parlare la lingua. Il metodo di Gesù vuole condurci a saper parlare la lingua di Dio per saper parlare con Lui. La prima parola che egli ci insegna a dire è: "Padre". Ripetere la parola "Padre", significa entrare nella relazione filiale che Gesù ha vissuto in ogni attimo della sua vita: Gesù è il figlio perché riceve tutto dal Padre. Potremmo dire che il Vangelo di Giovanni è tutto una splendida guida che ci introduce nell'intimità dell'esperienza filiale di Gesù, nella lettura simbolica della sua umanità, per poter gustare ogni attimo della vita come esperienza della gloria di Dio. Imparare a dire "Padre" significa entrare con Gesù in questa radicale novità dell'esperienza filiale, dentro la quale l'esistenza umana assume un significato divino.
La scuola di preghiera di Gesù continua con le prime due domande. Anche queste hanno un grande valore pedagogico insegnandoci a rivolgere la nostra vita verso Dio e a dire: "il tuo nome" e "il tuo regno".
"Sia santificato il tuo nome". In modo felice, la TOB (traduzione ecumenica della Bibbia) ha tradotto così: "Fatti riconoscere come Dio" che significa imparare ad aprirci perché la nostra esperienza di Dio sia l'esperienza di un Padre, non di un giudice da temere, imparare a vivere ogni attimo della nostra vita, anche quelli drammatici, per noi incomprensibili, affidandoci ad un infinito, misterioso amore paterno; significa che l'umanità si trasforma in una famiglia di fratelli.
"Venga il tuo regno" cioè "fa venire il tuo regno": ripetuta quotidianamente, questa domanda ci trasforma gradualmente in operai del regno, ci apre perché non facciamo del nostro egoismo, dei nostri progetti, il fine della nostra vita, ma impariamo a lasciare che attraverso la nostra vita, passi la forza trasformante dell'amore del Padre.
Le altre tre domande, riguardano la nostra vita quotidiana: "dacci", "perdonaci", "non abbandonarci". Chi ha imparato la lingua nuova con cui parlare con Dio, può rivolgersi a Lui con la fiducia coraggiosa del Figlio: possiamo usare con Lui l'imperativo, perché siamo certi che egli compie per noi tutto questo se noi ci mettiamo nella condizione di accogliere i doni che lui non ci fa mancare."Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano": ci invita a non preoccuparci per il futuro, accogliendo ogni giorno ciò di cui abbiamo bisogno, come un dono. Il plurale a cui Gesù ci educa, ci insegna a pensare, a vivere come fratelli ai quali il Padre provvede, ci insegna a con-dividere, ci avverte che la ricchezza sproporzionata di qualcuno è un peccato contro l'amore del Padre comune.
"Perdonaci i nostri peccati: anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore": ancora una volta impariamo che non è separabile l'esperienza dell'amore del prossimo dall'amore di Dio. Solo un cuore aperto al perdono del prossimo è aperto al perdono di Dio.
"E non abbandonarci alla tentazione": quando abbiamo imparato a respirare l'amore del Padre, sappiamo bene quanto grande sia la tentazione di non credere l'Amore quando vediamo tutto il male del mondo, sperimentiamo la durezza del cuore umano, ma impariamo che sono proprio questi i momenti nei quali solo il suo Amore ci sostiene.
Parlare la lingua di Dio significa parlare come figli che si rivolgono al Padre, che coraggiosamente "chiedono" a Dio chiamandolo "Padre": Gesù ci insegna ad essere figli, a parlare come figli e a pregare come figli: ci insegna ad essere umili, fiduciosi, a dire tutto al Padre con la certezza, talvolta piena di angoscia, che egli ci ascolta.