Omelia (06-06-2010)
padre Gian Franco Scarpitta
Celebrare e ripresentare

"Questo è il mio Corpo" nelle lingue orientali equivale a dire: "Questo sono io" e anche nell'originale greco dei vangeli la copula "è" viene resa con "esti"= è. Insomma con questi termini si intende davvero esprimere che c'è identità reale e sostanziale fra il pane e il Corpo di Cristo. Quello che Gesù invita a mangiare è infatti il suo Corpo reale e non metaforico o simbolico, il suo vero corpo che presenzia nel pane in forma reale e sostanziale. Non è un caso che Gesù decida di rendersi presente nelle sembianze del pane: esso è l'alimento comune di tutti gli uomini, nel quale i popoli e gli individui si ritrovano in unità e per il quale si combattono anche sanguinose guerre e conflitti armati. Se ci trova tutti d'accordo su un qualsiasi argomento, questo è dato dal pane; se si discute sull'importanza di un cibo, ritenuto insosatituibile questo è quello che maggiormente mette tutti d'accordo. Se il pane è l'alimento più accessibile, ebbene Cristo come pane vivo intende farsi mangiare, per essere egi stesso alimento di vita eterna e "farmaco di immortalità.": "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà in sè la vita e io lo risusciterò nell'ultimo giorno." In effetti, quale altro luogo poteva indicarci Gesù, invitandoci a nutrirci della sua carne, se non il Sacramento dell'Eucarestia, nel quale Egli stesso si rende presente nelle specie di un pezzo di pane?
A partire da quella sera nella stanza al piano superiore di una casa ben ammannita e adornata a Gerusalemme, il pane vivo disceso dal cielo ci si offre costantemente per essere da noi consumato nella comunione, perché viviamo la relazione con Dio attraverso Cristo nello Spirito Santo e perché tale comunione si estenda anche fra di noi. Afferma il teologo De Lubach che l'Eucarestia fa la Chiesa e la Chiesa fa l'Eucarestia, perché nel pane che noi spezziamo ad ogni assemblea liturgica ci si propone Cristo che riunisce tutti in un solo Corpo; allo stesso tempo però non possiamo celebrare il mistero eucaristico se non formiamo prevamente l'unità e la concordia, se cioè la comunione non caratterizza la nostra vita associata di credenti.

Anche in merito al suo Sangue Gesù si esprime negli stessi termini per presentare se stesso: Matteo (26, 27-28) lo descrive come "il mio sangue dell'alleanza"; Marco 14, 24 lo esprime con maggior vigore "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti."Luca e Paolo invece pongono l'accento piuttosto sull'Alleanza che non sul sangue: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi» (Lc, 22, 20); "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue" (1 Cor 11, 25). Si tratta infatti del Sangue che Cristo stesso offre in oblazione per l'umanità, quello che effonderà sulla croce per riscattare gli uomini dal peccato per risollevarne le sorti e giustificarli presso il Padre. Quella sera a Gerusalemme infatti Gesù da un saggio di quanto sta per accadergli sul Golgota al luogo detto Cranio: il suo Sangue sarà l'avallo dell'alleanza fra l'uomo Dio, il suggello del nuovo patto che avrà come protagonista lo stesso amore sacrificale di Dio in Cristo: Gesù offrirà se stesso per espiare i nostri peccati e nel suo Sangue si realizzerà la nuova ed eterna Alleanza. Il Sangue di Cristo verrà versato a beneficio di tutta l'umanità perché tutti sono chiamati a salvezza universale. Ma non tutti trarranno beneficio da questo effetto salvifico; i suoi frutti infatti saranno riscontrabili solamente in coloro che accetteranno il mistero dell'amore di Dio in Cristo e che vi aderiranno nella fede. Per questo motivo il testo originale greco, che nella liturgia eucaristica noi erroneamente traducianmo con "per voi e per tutti", in realtà è reso con "per voi e per molti". Come si sa, anche per esortazione del papa Benedetto XVI e della Pontificia Commissione Liturgica, si intende correggere il testo anche nei nostri messali parrocchiale per la fdeltà alla traduzione letteraria ma anche per esprimere come la portata del sacrificio eucaristico sulla croce debba comportare l'adesione da parte della comunità e del sigolo credente.
In ogni caso Gesù dona se stesso ai suoi discepoli nelle sembianze di quel pane e di quel vino in cui si idetnifica per sottolineare e offrire caparra di quel sacrificio che egli realizzerà per volere del Padre sulla croce, ai fini di instaurare un nuovo patto con l'umanità. Tutte le volte dunque che celebriamo la Messa non solamente Cristo presenzia fra di noi come alimento, ma ripresenta sull'altare il medesimo sacrificio consumato una volta per tutte nella sua immolazione gratuita: nella fede rivediamo lo stesso evento del Golgota.
C'è tuttavia un' altra espressione che si presenta nel racconto del pasto sarale: "Fate questo in memoria di me". Come giustamente osserva Mons. Cipriani, secondo la descrizione di Paolo nella 1Lettera ai Corinzi, questi termini vengono ripetuti due volte: 1) subito dopo la consacrazione del pane 2) al termine del pasto, dopo la presentazione del vino divenuto suo Sangue e questo evidenzia con forza come l'Eucarestia non sia soltanto la memoria di un fatto accaduto, ma esprime la necessità che questo fatto si perpetui nella storia.
In altre parole, con quei gesti e con quelle espressioni Gesù dispone che fintanto che Lui non sarà tornato visibilmente alla fine dei tempi il rito eucaristico debba ripetersi perché lui sia presente nelle specie del pane e del vino e perché allo stesso tempo si ripresenti il suo sacrificio sulla croce. E così oggi avviene che tutte le volte che noi assistiamo ad una celebrazione eucaristica oltre che "ricordare" quanto avvenne durante l'Ultima Cena abbiamo davanti lo stesso Cristo Gesù, realmente presente nelle sembianze del pane e del vino e allo stesso tempo ci viene ripresentato il sacrificio cruento che Lo interessò duemila anni fa. Esso certamente avvenne una volta per tutte, ma in forza di un mistero che noi accogliamo solo in quanto credenti (nella fede) esso ci si ripropone.
Celebrare infatti vuol dire riattualizzare, rendere presente, rivivere. Commemorare invece si limita alla sola rievocazione di un fatto passato. Se in tutti gli altri sacramenti Cristo opera e agisce invisibilmente nel Sacramento dell'Eucarestia egli è presente nella sostanza che dalla consacrazione in poi non è più quella del pane (e del vino) ma quella del suo Corpo e del suo Sangue per cui la grazie che in Essa egli esercita è permanente e continua, edifica la vita della Chiesa e santifica il soggetto credente nel suo solo essere esposta sull'altare o nel suo semplice presenziare nel tabernacolo. Egli comunica tutti gli elementi della santificazione e dell'edificazione spirituale che si rendono fruttuosi man mano che il Sacramento lo si assume con fede e tutte le volte che con fare dimesso ci si pone davanti ad Esso in atto di profonda venerazione. Nella misura in cui infatti io mi dispongo a ricevere con vera devozione e senso di partecipazione personale l'Eucarestia non posso che trarne vantaggio poiché a lungo andare riscoprirò come essa trasforma la mia vita in meglio e attribuendomi la pienezza e la consistenza dello spirito...