Omelia (02-05-2010)
mons. Gianfranco Poma
Vi do un comandamento nuovo

La pagina del Vangelo di Giovanni che leggiamo nella domenica quinta di Pasqua (Giov.13,31-35) ci fa riscoprire la novità dell'esperienza cristiana, perché ne rendiamo testimonianza davanti a tutti.
Possiamo comprendere il senso di questi pochi versetti, solo ricordando il contesto nel quale si trovano: siamo nell'ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. Dice il Vangelo di Giovanni: "Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà. Si guardavano l'un l'altro i discepoli, presi dal dubbio di chi parlasse. Stava disteso, uno dei suoi discepoli, nel fianco di Gesù, quello che Gesù amava. Fa cenno dunque a lui Simon Pietro, perché gli chieda di chi parlasse. Chinatosi dunque, quello, sul petto di Gesù, gli dice: Signore, chi è? Risponde Gesù: E' quello per il quale io intingerò il boccone e glielo darò. Intingendo dunque il boccone, lo dà a Giuda di Simone Iscariota. E dopo il boccone, entrò in lui il satana...Prendendo dunque il boccone, quello uscì subito. Ed era notte" (Giov.13,21-30). Si tratta di un momento di profonda intimità di Gesù con i suoi discepoli, che noi che oggi leggiamo, possiamo rivivere nella nostra esperienza: siamo noi i discepoli ai quali Gesù manifesta tutto il suo turbamento. Gesù ha chiamato i suoi discepoli, con loro ha condiviso tutto, a loro ha mostrato tutto di sé: adesso non può nascondere il suo turbamento. "Uno di voi mi tradirà". E il turbamento di Gesù passa in loro: nel loro sentirsi sconcertati c'è il timore che ciascuno di loro possa essere il traditore. Di fronte all'amore di Gesù tutti si sentono impari. Simon Pietro fa cenno al discepolo che Gesù amava: vuole che Gesù faccia un nome. Se Gesù dice chi è il traditore, gli altri possono mettersi in pace: se uno solo è il colpevole, gli altri si sentono assolti. Il discepolo che Gesù amava si stringe ancora di più a lui: "Signore, chi è?". L'amato da Gesù si ritiene autorizzato ad accogliere la sua confidenza: ma Gesù risponde con un gesto di amore sublime. Non fa il nome, non indica nessuno, dice soltanto: "E' colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò". Questo gesto e le parole mostrano solo che Gesù continua a rivelare che cos'è il suo amore. Egli dona soltanto e dona tutto, egli crea amicizia: egli "conosce" la fragilità dei suoi discepoli, conosce la fragilità di coloro che il Padre gli ha affidato, egli sa che gli uomini hanno solo bisogno di essere amati, sa che nessuno di coloro che egli ama può ricambiare il suo amore: ciascuno può tradirlo. Adesso è Giuda, ma ciascuno di noi può guardare a Giuda come a suo fratello: chi di noi può dire di non scaricare su Giuda le proprie infedeltà, i propri tradimenti. In questo momento Gesù percepisce tutta la sua solitudine: Lui solo, nel momento nel quale avverte l'incapacità anche di chi gli è più vicino di accogliere il suo dono, è cosciente del buio che avvolge il mondo, ma al tempo stesso sa che cosa significhi essere il dono del Padre per il mondo. Lui solo è la luce che risplende nelle tenebre: la sua carne offerta per il mondo è lo splendore della gloria di Dio. Nel momento in cui il mondo lo rifiuta, egli ama: la croce è lo splendore della gloria di Dio.
Adesso Gesù può dire: "Ora il figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito". Nel momento nel quale Gesù esprime tutta la gratuità del suo amore per colui che lo sta tradendo e che continuerà a chiamare amico, appare la reciprocità completa delle relazioni tra il Padre e il Figlio, appare la loro unione fondamentale: e noi "vediamo la gloria" (Giov.1,14), vediamo Dio. Perché il Figlio tradito, abbandonato da tutti, perseguitato da tutti, continua ad essere solo amore, benevolenza, perdono, rivela al mondo sin dove arrivi l'amore del Padre, sino all'infinito, senza limiti.
E proprio nel momento nel quale rivela, nel piccolo gesto del boccone offerto all'amico, lo splendore della gloria di Dio, Gesù aggiunge: "Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri". Un comandamento "nuovo": proprio nel momento nel quale sperimenta che anche l'amico più intimo lo tradisce, Gesù ai suoi discepoli dà un "comandamento nuovo". Nel momento nel quale risplende solo "la gloria" cioè la totale gratuità dell'amore di Dio per l'uomo incapace di amare, come può Gesù dare il comandamento: amatevi gli uni gli altri? Per questo Gesù parla di comandamento "nuovo": se si trattasse di un precetto affidato alle forze umane sarebbe qualcosa di impossibile, impensabile. Si tratta invece di una reale "novità": non si tratta di un precetto, ma di un dono. Gesù ama talmente i suoi discepoli che per loro dona la vita, a loro dona il suo Spirito: Gesù è vivo, ama nei suoi discepoli. Il comandamento di Gesù è "nuovo" perché non è affidato ai nostri sforzi ma è lui che vive in noi, è lui che ama in noi. L'amore con il quale egli ci ama, è il dinamismo nuovo della nostra vita: la "gloria" che la carne di Gesù ci ha manifestato, risplende anche nella nostra carne. Ai suoi discepoli Gesù chiede di lasciarsi amare da lui, lasciarsi perdonare da lui, lasciarsi vivere da lui. Il commento migliore al "comandamento nuovo" di cui parla il Vangelo di Giovanni, è la riflessione di S.Paolo nella lettera ai Galati e nel cap.8 della lettera ai Romani. Solo l'amore che lui ha per i suoi discepoli genera discepoli capaci di amarsi tra di loro: la parola evangelica che noi leggiamo è in realtà molto concreta. Essa riflette l'esperienza della comunità giovannea tutta fondata sull'amore che Gesù ha accolto dal Padre e ha donato ai suoi discepoli: l'amore è una fonte che genera amore, è una fonte divina che trasforma l'uomo e lo rende capace di vita divina. "Come io ho amato voi, amatevi anche voi gli uni gli altri": tutto il Vangelo di Giovanni ci svela la relazione totale tra il Padre e il Figlio, una relazione che diventa vita. Gesù amando i suoi discepoli genera con loro una comunione di relazione che rende visibile nella storia la sua relazione con il Padre. "Amatevi gli uni gli altri": la comunità giovannea è il luogo in cui si creano relazioni nuove, generate dalla gratuità dell'amore che dal Padre scorre nelle vene della storia. "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri": l'identità cristiana, per la comunità giovannea, è determinata dalla visibilità delle relazioni nuove, dalla novità di uno stile d'amore, che fa la differenza della comunità cristiana con il mondo. Ma è davvero questo lo stile della nostra vita cristiana di oggi? Siamo coscienti che la qualità delle nostre relazioni vicendevoli è la visibilità di Dio nel mondo e da esse dipende la sua credibilità?