Omelia (07-02-2010)
padre Gian Franco Scarpitta
Chi manderò? = Chi risponderà?

"Eccomi, manda me". Isaia, che nel capitolo 6 del suo libro si intrattiene con narrazioni autobiografiche affascinanti, risponde con queste parole alla domanda che Dio rivolge con una certa vena metaforica, intendendo forse chiedere: "Chi risponderà al mio appello? Chi sarà disposto a donarsi per "partire" verso una meta insolita e differente dal consueto?" Infatti, Dio non ha certo problemi nell'eleggere chi è degno per la missione che affida, poiché nella sua infinita sapienza stabilisce sin dall'eternità il destino di ciascun uomo, il progetto di vita riservato ad ogni persona e la vocazione non è mai stato un argomento che riguardasse le lacune divine. Piuttosto è da parte dell'uomo che si usa refrattarietà e distanza, è sempre il chiamato a porre resistenza a motivo della molteplicità delle rinunce che impone l'unica scelta di Dio: incamminarsi nella realizzazione di un disegno di cui non siamo originali fautori ma che è stato impostato sin dall'inizio e che ci tocca solo scoprire e accettare, è una decisione che molte volte lascia perplessi poiché comporta tante insicurezze e rinunce a qualcosa che ha sempre fatto parte della nostra vita e che ci è sempre stato di garanzia, per cui molte volte difficilmente ci si lascia coinvolgere dal mistero della chiamata divina. Ai nostri giorni sembrerebbe che la risposta alle vocazioni di speciale consacrazione abbia un certo risveglio nella persona di giovani generosi che abbandonano anche la propria professione sicura e definita per la causa del vangelo; i seminari e gli Istituti Religiosi, nonostante le lacune e le emergenze di diverse realtà locali, contano un numero maggiore di ordinazioni sacerdotali o di professioni religiose almeno rispetto ai decenni precedenti e si riscontra una certa disinvoltura nel dare il proprio assenso alla volontà di Dio, quando questa si riveli optativa per uno speciale stato di consacrazione a Dio. Non che sia terminato lo stato di emergenza, tuttavia vi è una sensibilità maggiore alla risposta vocazionale che non negli anni precedenti, anche considerando le vocazioni d'oltreoceano e di provenienza asiatica e africana che compensano non pochi vuoti. Resta tuttavia fermo che ad essere di ostacolo alla scelta vocazionale religiosa e sacerdotale sia l'esubero delle sicurezze materiali che non si vogliono abbandonare, lo stato di ansia e di esitazione che si prova a rinunciare per esempio al matrimonio e alla famiglia o a dover abbandonare l'idea di una posizione di successo professionale per un abito religioso. La paura e l'indecisione sono alla base della perdita di parecchie scelte vocazionali, oltre alla secolarizzazione o all'indifferentismo religioso in atto, che comunque non è poi così deprimente. Certo, non ci si deve prefiggere la scelta religiosa e sacerdotale animati dalla paura del futuro di fronte alle precarietà odierne del lavoro e all'insicurezza professionale e lungi da noi anche l'idea più lontana di voler imboccare la porta del seminario nella certezza che questa sia l'unica che resti aperta rispetto a tutte le altre del mondo del lavoro; tuttavia occorre che si prenda in seria considerazione la possibilità di poter essere indirizzati a uno specifico di consacrazione più denso e più particolare; occorre che ci si abitui sin dalla preadolescienza a non escludere, fra le tante possibilità vocazionali, anche la chiamata divina allo stato religioso o alla missione sacerdotale.
Occorre tuttavia che la si interpreti sempre nell'ordine della chiamata divina che non è eguagliabile ai criteri di scelta prettamente umani e che il Signore elegge secondo il suo cuore, la sua volontà e i suoi progetti, non già seguendo i nostri canoni preferenziali. In sintesi bisogna che riscopriamo il concetto di chiamata, scelta divina anticasuale, elezione. Questo non solamente in riferimento alla deliberazione per lo stato religioso, sacerdotale o missionario, ma a proposito di qualsiasi indirizzo e di qualunque prospettiva di vita: non siamo noi a scegliere il nostro destino, qualunque esso sia, ma è Dio che imposta sempre un piano su di noi, che verte sempre a un disegno di salvezza e di edificazione per gli uomini. La vocazione è insomma chiamata di Dio in tutti gli aspetti in cui essa debba concretizzarsi, qualunque sia il nostro ambito e il nostro stato e comprendere che la nostra vita non è affidata al caso e che ogni nostra scelta non debba avere carattere aleatorio è anche alla base della soluzione del problema vocazioni nei seminari.
La Parola di Dio ci viene incontro a tal proposito, innanzitutto nella sequela che Isaia intraprende nei riguardi di Dio che lo chiama. Tornando infatti a questo grande profeta dell'Antico Testamento che avevamo lasciato in apertura, notiamo che questi alla domanda: "Chi manderò? Chi andrà per noi?"= "Chi risponderà?" si esprime in termini di intraprendenza e di decisione soggettiva: "Eccomi Signore, manda me". Forse questo è il primo caso in cui un eletto si propone a Dio in vista di una missione; altrove è infatti sempre il Signore a scegliere e a mandare qualcuno. In questo caso invece Isaia si entusiasma della gloria di Dio e di conseguenza gli si offre volontario: la sua non è una decisione di ripiego o una scelta convenzionale messa a raffronto con le altre, ma una deliberazione attuata in conseguenza di una gioia vissuta in prima persona; la gioia dell'incontro personale con il Dio della Gloria e del fuoco: secondo gli esegeti, la Gloria (kabot) associata alla nube e al fumo indica la suprema maestà divina irraggiungibile, la signoria indiscussa di Dio, il fascino della sua grandezza che solo a lui appartiene. Il fuoco ha sempre manifestato invece il dischiudersi di questa gloria a vantaggio degli altri, quindi Dio stesso che nonostante la sua ineffabile maestà orienta e illumina tutti gli uomini. Secondo Bruno Forte la rivelazione di Dio è un continuo silenzio che si rende parola; un continuo dischiudersi del nascondimento che diventa apertura e svelamento, in modo tale che l'uomo accolga la comunicazione e l'amore di chi comunque resta sempre l'Ineffabile, il medesimo Dio Signore. Isaia ha contemplato quindi il Dio affascinante e Altissimo che gli si è fatto vicino e che lo ha rassicurato con quel caratteristico gesto di purificazione per mezzo dei carboni ardenti e adesso, superato ogni timore di indegnità, riconosciuta la fiducia da parte di Dio e la possibilità di instaurare un filiale rapporto con lui, può rispondere: "Eccomi, manda me." Anche da parte degli apostoli vi è una risposta a Dio conseguente alla certezza di essere da lui assistiti nella persona di Gesù che favorisce la pesca materiale per impegnare in quella più vasta della redenzione e della salvezza; ministero al quale egli manda non certo i migliori fra gli uomini, ma i più insicuri e caracollanti individui in fatto di fede, primo fra tutti Pietro. Il rapporto personale con il Signore, la suddetta convinzione che nulla nella storia si affida al caso, il discernimento dell'unica sicurezza in lui e la capacità di abbandonare le nostre risorse e le certezze fallaci sono la condizione essenziale della scoperta del senso della nostra vocazione e della nostra elezione per non inciampare mai (2Pt 1,10) e per realizzare il sicuro itinerario a vantaggio di noi stessi e degli altri.