Omelia (07-11-1999)
mons. Antonio Riboldi
Via da questa pazza vita

Ebbi modo di stare vicino un giorno ad una persona amica. Vissi con lui una giornata, gomito a gomito. Inizialmente sembrava che il tempo fosse tutto per noi, lasciando fuori dalla porta la vita normale che avrebbe impedito lo stare insieme. Lentamente fecero capolino tutte le realtà che componevano la sua vita quotidiana: una telefonata dopo l'altra che erano come un filo che tesseva l'attività, facendo crescere allo stesso tempo occupazioni, preoccupazioni e interessi. Poi l'improvviso ricordarsi di un appuntamento "breve sa? Questione di minuti". E quindi un precipitarsi alla porta: il sentire la macchina che sembrava volesse inghiottire la strada da percorrere. Poi un ritorno facendo i pochi gradini di volata e con il fiatone "eccomi qua, finalmente noi due!". E di nuovo all'improvviso come ghermito da altre cose. Il tutto condito da "scusi, sa: è una giornata storta, oggi; una di quelle giornate che non si vorrebbero quando si hanno amici in casa". Ed io a dire "Stia tranquillo: non si dia pena per me, so attendere". E perché attendessi senza stancarmi, mi vedevo rifilare giornali, riviste, caffè, le solite cose che usiamo per riempire lo spazio che dovremmo riempire noi.
L'unico momento in cui finalmente si poté parlare fu quello del tragitto dalla casa alla stazione la sera; pochi minuti nel traffico che rendeva ancora più nervosi. "Doveva essere una giornata tutta per lei ed è stata una giornata rubatami dalle solite preoccupazioni. Una giornata pazza; una giornata letteralmente rubata all'amicizia". "Una giornata pazza ? gli dissi salutandolo ? o una vita da pazzi in cui non c'è più posto per sé, per gli amici, per le cose belle?".
Potrebbe essere un commento al Vangelo di oggi. Gesù paragona la nostra vita ad un invito a nozze. Andare incontro allo sposo: forse essere "scelti dallo sposo" per entrare nella sua felicità, nel suo regno, richiedeva tutta l'attenzione, una prova di assoluta dedizione. Lo sposo in pratica doveva e deve avere la prova che chi entra nella sua vita è "vergine", ossia è "tutto per lui": al punto da mettere da parte ogni altro amore, ogni altra preoccupazione, ma da concepire il vivere come un'attesa sempre vigile, con la lampada accesa, ossia con il cuore che continua a battere come se da un momento all'altro lui dovesse affacciarsi e chiamare. Non è possibile distrarsi: non è di una vergine che attende lo sposo. "Il regno dei cieli ? dice Gesù ? è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge: le stolte presero le lampade, ma non presero con sé l'olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi". Lo sposo tarda a venire e le vergini si addormentano. Nel sonno vengono svegliate di soprassalto: "Ecco lo sposo, andategli incontro". E qui si evidenzia la differenza tra chi è stolto e chi è saggio. Lo stolto ha consumato tutto l'olio che aveva nella lampada e deve affannarsi in giro dai venditori per acquistarne, rischiando di mancare all'appuntamento. Non così per il saggio che ricorre alla scorta di olio che aveva portato e si fa trovare pronto all'incontro. Le vergini sagge entrano con lo sposo alle nozze e "la porta fu chiusa". Le altre giungono tardi, troppo tardi, quando la porta è sbarrata. "Signore, aprici!" supplicano. Ma la risposta è dura, definitiva: "In verità, vi dico, non vi conosco". "Vegliate, dunque, avverte tutti Gesù, perché non sapete né il giorno né l'ora" (Mt 25, 1-13).
Sembra quasi inapplicabile questa regola necessaria della vigilanza con la vita movimentata di oggi. Chi può dirsi "senza agitazione"? Si ripete la scena dell'ospitalità data a Gesù e ai discepoli a Betania. "Marta tu ti agiti troppo; Maria ha scelto la parte migliore, quella che non le sarà mai tolta". Come combinare una vita che sia un sentirsi sempre "vergini che attendono lo sposo che deve arrivare".? In fondo, se badiamo bene, "attendere lo sposo" (che è la sola cosa necessaria perché una vita non sia sbagliata e fare il nostro dovere con il cuore di chi fa la volontà di Dio è la stessa cosa.
L'una e l'altra cosa altro non sono che un guardare continuamente a quella porta che un giorno si aprirà per noi per mostrarci lo sposo che ci chiama e ci attende.
C'è una famosa "lettera" detta "a Diogneto", scritta nei primi tempi del cristianesimo che è veramente un classico del come devono vivere i cristiani che "attendono lo sposo" in mezzo a questo mondo: "Abitano in città ? così è scritto ? sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri: partecipano a tutte le attività di buoni cittadini, e accettano tutti gli onori come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è per loro una patria, mentre ogni patria è per loro terra straniera... Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo... Amano tutti e da tutti sono perseguitati... Sono poveri ma arricchiscono molti...".
Un modo evangelico di vivere in attesa continua.