Omelia (23-11-2008)
padre Ermes Ronchi
Chi tocca i poveri sfiora il cielo di Dio

Padre che sei nei cieli... ma il cielo di Dio sono i poveri. E quando la tua mano tocca un povero dalla vita do­lente, le tue dita stanno sfiorando il cielo di Dio. Dove entreremo solo se saremo prima entrati nel­la vita di chi soffre.
Perché Gesù sta nel posto dove noi non vorremmo mai essere, nell?ultimo po­sto; in coloro che incarna­no non i tuoi sogni, ma le tue paure e i tuoi dolori:
Dio naviga in un fiume di lacrime (Turoldo).
La cosa che mi commuo­ve, delle cose ultime, è che Dio non mi giudicherà scorrendo l?elenco delle mie debolezze, ma quello dei miei gesti di bontà; non indagherà le mie om­bre ma annoterà i semi di luce o il polline di bene che ho seminato. Distogli il tuo sguardo dal mio pec­cato, supplicava Davide nel salmo del pianto. Ed ecco che Dio esaudisce quel grido, nell?ultimo giorno distoglierà il suo sguardo dal male, per sempre lo fisserà sul bene. Sul bene concreto: e l?u­miltà della materia è così importante che Dio vi ha legato la salvezza, l?ha le­gata a un po? di pane, ad un bicchiere d?acqua, ad un vestito donato, ai passi di una visita. Non alle co­se però, ma al cuore detto dalle cose.
Questa è la grandezza del­la fede evangelica: il tema del supremo confronto tra uomo e Dio non è il pec­cato ma il bene. Misura dell?uomo, misura di Dio, misura della storia è il be­ne. Il nostro futuro, cielo e paradiso, è generato dal bene che io, tu, noi abbia­mo donato al Lazzaro infi­nito, al Lazzaro innumere­vole della terra. Il giudizio di Dio è l?atto che dice la verità ultima dell?uomo, e per trovarla non guarderà me, ma intorno a me: le mie relazioni, la porzione di poveri e di lacrime e di amori che mi è affidata e che devo custodire con la mia vita. Se c?è qualcosa di eterno in noi, se qualcosa di noi rimane quando non rimane più nulla, questa cosa è solo l?amore.
Dio non ti sorprende in un momento di debolezza, quando non ce la fai a vi­vere in un modo più nobi­le e puro, ma è colui che instancabilmente ti so­spinge al bene. Che non misura le tue debolezze, ma incalza la tua bontà.
Il povero di cui parla il Vangelo è colui che viag­gia ai limiti dell?esistenza. E se lo guardi, ti senti nau­fragare. Il povero, per la sua fragilità, ti obbliga a confrontarti con le cose e­streme, con la vita a ri­schio, è metafora di falli­mento e di morte. Ma è an­che maestro di fede per­ché incarna l?evidenza che tutti noi viviamo solo per­ché custoditi da altri, che esistiamo solo perché ac­colti da Qualcuno, impa­ziente di ripetere: Vieni, benedetto!