Omelia (23-11-2008)
don Marco Pratesi
La dedizione del Re Pastore

Il profeta Ezechiele ha di fronte a sé la rovina di Gerusalemme, del tempio e d'Israele in esilio a Babilonia, e accusa i capi del popolo, che secondo una metafora orientale chiama "pastori", di non aver saputo guidare il popolo. Essi hanno badato solo a se stessi, invece di mettersi a servizio del popolo se ne sono serviti per il proprio tornaconto. È stato questo uno dei fattori della rovina.
Di fronte a questo cosa farà Dio (e con questo siamo alla prima lettura)? "Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura". Ezechiele preannunzia un impegno ancora più forte da parte di Dio, che interverrà personalmente.
Così la lettura è tutta una descrizione della cura premurosa di Dio pastore nei confronti delle sue pecore, cura che abbraccia quattro ambiti.
Primo, la vita delle pecore: Dio assicurerà loro il nutrimento e la possibilità di riposare tranquillamente.
Secondo, lo smarrimento e la dispersione delle pecore: Dio le cercherà con cura e le riporterà a casa, riunendole tutte (è evidente il riferimento all'esilio).
Terzo, la malattia delle pecore: egli fascerà le loro ferite e le rinvigorirà con una buona convalescienza.
Per quanto riguarda "la pecora grassa e forte", il testo è discordante. La traduzione greca dei LXX (seguita dalla Vulgata latina e dalla versione CEI) dice "ne avrò cura". Il testo ebraico masoretico "la sterminerò". Quest'ultimo si accorda con i vv. 17-22, nei quali Dio afferma che impedirà alle pecore forti di essere prepotenti; ma anche il testo dei LXX presenta questa idea nell'ultima parte del verso 16, laddove si dice che Dio pascerà "con giustizia", operando cioè un giudizio. Per una migliore corrispondenza del parallelismo, mi sembra preferibile il testo ebraico, ma nella sostanza non c'è differenza: la guida di Dio sarà tale che assicurerà la prosperità del gregge, senza che i più forti possano opprimere i deboli.
Per un cristiano è immediato vedere in questo testo il familiare profilo di Gesù buon pastore e re buono. C'è infatti un "luogo" umano dove si concentra la cura premurosa di Dio per questa umanità disorientata, debole, minacciata, affamata, stanca; c'è un "ambiente" umano dove risplende, arde e trionfa la regalità di Dio che, a partire da lì come da una "testa di ponte", è destinata a superare ogni ostacolo e a trionfare su tutto il cosmo: è la persona umano-divina di Gesù il luogo dove Dio regna, e da dove comincia a regnare sul mondo. Il regno è Gesù che diviene cuore del mondo.
Il regno di Gesù è nutrimento: vi si può attingere in abbondanza tutto quanto alimenta e fa crescere la vita; e riposo da ogni ansia che ci spinge a cercare la vita da soli, nell'affidamento a lui.
Il regno è guarigione dalle ferite che il male, fatto e ricevuto, ci ha inferto; e vigore che fluisce nel contatto vivo col Signore.
Il regno è centro, ove veniamo sottratti alla dispersione e alla disintegrazione di essere "uno, nessuno e centomila"; e patria, luogo che è davvero nostro, nel quale è bello dimorare.
Il regno è giudizio che denunzia ogni male e fine di ogni umana volontà di prevaricazione; e pace, luogo della fraternità, nella comune esperienza dell'essere amati dal grande Re-Pastore che per tutti ha dato la vita.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.