Omelia (05-10-2008)
don Marco Pratesi
Il canto dell'amore deluso

Nel famoso "canto d'amore" di Isaia ci sono due insistenze. La prima è sulla concretezza. La parola "fare" ricorre sette volte: "aspettava che facesse uva, e fece agresto" (v. 2); "che cosa dovevo fare ancora che io non abbia fatto? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, essa ha fatto agresto?" (v. 4). "Ora voglio rendervi noto ciò che sto per fare alla mia vigna" (v. 5). Qui c'è un fare di Dio - la sua cura per la vigna -, al quale non corrisponde il fare da parte della vigna, ossia il suo frutto. A questo mancato rendimento segue un nuovo fare di Dio, che questa volta è punizione.
La seconda insistenza è sull'aspettativa, la speranza che il vignaiolo nutriva nei confronti della vigna, andata delusa (vv. 2 e 4), che è esplicitata nel v. 7: "aspettava diritto ed ecco oppressione; giustizia, ed ecco grida".
Si tratta dunque di un canto d'amore, ma di un amore molto concreto, che non chiede tanto lo slancio del sentimento quanto la concretezza della risposta. In origine il canto non doveva essere necessariamente legato a quanto gli segue nell'attuale testo del libro di Isaia. Se ci limitiamo ad esso, i frutti che il Signore si aspetta sono "diritto e giustizia", coppia classica nei profeti (cf. per esempio Is 9,6; 28,17; 32,16; 33,5; 54,17; 56,1; 58,2; 59,9). Se poi leggiamo anche il seguito, ci troviamo una serie di sei "guai!" che precisa ulteriormente quei cattivi frutti che la vigna ha prodotto: arricchimento sfrenato (8-10); vita gaudente (11-17); cinismo e scetticismo (18-19); pervertimento del giudizio morale (20); idolatria della propria intelligenza (21); corruzione del potere (22-23). Il quadro è impressionante, anche per la sua prossimità alla situazione attuale.
Il brano ci mette di fronte all'amore di Dio in un modo scomodo. Si dice, giustamente, che l'amore di Dio è gratuito; ma si deve anche dire che esso richiede il contraccambio. Certo, non si tratta di un do ut des; ma l'amore chiede risposta, vuole reciprocità. C'è nell'amore una insopprimibile dimensione di "speranza": chi ama aspetta qualcosa dall'altro, spera qualcosa. Occorre un discernimento sapiente per saggiare la qualità di queste attese, ma chi ama sogna sempre che l'amore produca qualcosa, che porti un frutto.
Isaia ci ricorda che la perfezione dell'amore è l'opera, il comportamento concreto. Non che l'aspetto soggettivo sia irrilevante, poiché anzi in esso sta la radice; ma quanto sta dentro è reale solo se si fa anche esteriore, il sentimento è vero solo se si fa azione. Esiste anche l'alienazione sentimentalistica dell'amore. L'amore autentico connaturalizza al bene amato, cioè trasforma nel bene che attrae. A partire dall'attrazione, si mette in moto un processo di adattamento, che tende appunto a infondere in colui che ama alcune caratteristiche di quanto ama, creando una consonanza sempre maggiore. Se tale processo non si attiva, si può seriamente dubitare della qualità di un tale amore. È una risposta che non può soddisfare questo vignaiolo innamorato, che tutto fa - anche reagire in malo modo - pur di raccogliere dalle viti della nostra vita grappoli maturi e dolci.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.